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 2017  giugno 23 Venerdì calendario

Un labirinto che nasce da Boccaccio. I dipinti accompagnati dai testi letterari

Per capire dove nasce il titolo «Labirinti del cuore. Giorgione e le stagioni del sentimento tra Venezia e Roma», bisogna arrivare quasi alla fine della mostra, nel salone dell’Apollo di Castel Sant’Angelo, davanti al Ritratto di gentiluomo, uno dei quadri più celebri ed enigmatici di Bartolomeo Veneto. L’artista, forse di origine cremonese ma formatosi a Venezia, dipinse ai primi del Cinquecento questo giovane lievemente strabico e molto perplesso, che indossa una tunica (o giupone) di velluto nero bordato di pelliccia e guarnito con il ricamo di un labirinto all’altezza del cuore. Il labirinto, nell’iconografia amorosa dell’epoca, indicava un percorso di iniziazione e di conoscenza interiore, difficile e tortuoso, come è documentato anche nella letteratura dell’epoca, a partire dal Corbaccio di Boccaccio, in cui il protagonista è invischiato nell’amore non corrisposto per una vedova. Il libro, in un’edizione veneziana del 1516, è visibile in una teca accanto al quadro, insieme ai Cento giuochi liberali, et d’ingegno di Innocenzo Ringhieri, stampati a Bologna nel 1551, qui aperti al capitolo «Labirinto d’amore va ad incontrare le strade d’Amore vaghe & erranti».
Ma il quadro guida della mostra si trova all’inizio del percorso, nella sala del Mappamondo a Palazzo Venezia, nelle cui raccolte è conservato. Si tratta di una tela, ribattezzata «I due amici», attribuita da gran parte della critica a Giorgione e attestata a Roma fin dall’inizio del Seicento. In primo piano, dietro a un parapetto, un giovane vestito in modo elegante fissa il vuoto davanti a sé in un atteggiamento che ricorda la celebre «Melancolia» di Dürer. Il giovane in secondo piano sembra commentare con uno scuotimento di capo lo stato d’animo dell’amico. Che sia o no di mano del maestro di Castelfranco, il dipinto è considerato l’archetipo di una nuova idea del ritratto, che intende sottolineare i sentimenti d’amore. E la posizione della mostra, nel dibattito attributivo, è comunque ben chiara: «Assegna il dipinto a Giorgione», come sottolinea Edith Gabrielli, ideatrice di questo percorso in due tempi che unisce due luoghi del polo museale di cui è direttore. Anche a Palazzo Venezia sono esposti i testi letterari da cui prese avvio il clima culturale che a Venezia fu segnato, all’epoca di Giorgione, da un rinnovato interesse per la poetica del Petrarca e da un incessante interrogarsi sulla natura dei sentimenti amorosi. Ma si pone l’accento, in questa prima parte dell’esposizione, sul legame tra la città lagunare e la Città eterna, che fu celebrato dal veneziano papa Paolo II Barbo con la costruzione del palazzo ai piedi del Campidoglio. Nell’appartamento Barbo è ospitata la mostra, inserita da Gabrielli nel pacchetto di Art City, con un centinaio di iniziative di arte, architettura, letteratura, musica, teatro, progettate per valorizzare durante l’estate i musei laziali. I saloni Barbo si raggiungono dall’ingresso principale del Palazzo su piazza Venezia, riaperto ora in maniera permanente. A Castel Sant’Angelo i visitatori sono accompagnati da brani musicali del Cinquecento, che rendono ancora più suggestiva la visione di capolavori come il ritratto della moglie di Carlo V eseguito da Tiziano, i coniugi di Sofonisba Anguissola, la famiglia di Arrigo Licinio ritratta dal fratello Bernardino, i figli di Virginio Orsini raffigurati da Tiberio Titi, le mogli (non cortigiane) che si spogliano in un camerino quasi segreto, ricavato nel salone dell’Apollo. Davanti alla «Gentildonna con lira da braccio» parte il canto ripreso dallo spartito aperto sul tavolo, un madrigale di matrice neopetrarchesca, scritto da Philippe Verdelot: «Quando Madonna io vengo a contemplarte».