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 2017  giugno 23 Venerdì calendario

Intervista a Nicola Amoruso: «Il pallone di oggi è dei Donnarumma, mica dei Totti»

Neanche fosse Bill Murray, Nicola Amoruso vive ogni anno il suo “giugno della marmotta”. Nato 43 anni fa a Cerignola, ha giocato per 13 squadre della Serie A, con 12 delle quali è andato a segno. Come lui, nessuno. Centravanti rapido e tecnico, la sua carriera decollò dalle giovanili della Sampdoria di Gullit e Mancini. Da lì in poi non si sarebbe più fermato: dopo i gol ad Andria e Padova arrivò la chiamata della Juventus. A Torino fece bene, non abbastanza da levare il posto ai vari Del Piero, Inzaghi e Vieri. Per Nick Dinamite la giostra riprese a girare: fu a Perugia con Mazzone, a Napoli, poi di nuovo in bianconero. Ogni anno, per un motivo o per l’altro, si concedeva a un’altra parrocchia.
L’amore eterno non ha mai fatto per lui. Però Nicola Amoruso ha sempre fatto il suo: segnare. 113 gol in Serie A, il migliore a non aver mai indossato l’azzurro della Nazionale.
Oggi che radiomercato si è scordato di lui, assieme all’amico Francesco Pratali, parecchi anni tra Empoli e Torino sul groppone, ha deciso di scivolare dietro le quinte e aprire un’agenzia di procuratori. Gestiscono qualche ragazzo tra la B e la Lega Pro, per lo più giovani, cui Nicola insegna la sua arte migliore: trovare una squadra che abbia bisogno di te.
Un suo ragazzo bacia la maglia della sua squadra. Cosa gli dice il giorno dopo?
È un gesto che viene naturale, dettato dall’emozione, ma è impossibile sapere cosa succederà domani e come la prenderanno i tifosi. Io non l’ho mai fatto e di certo non lo consiglierei ai giocatori che rappresento.
Il tifoso però si sente tradito. Fesso lui?
Il tifoso fa il tifoso, per lui è questione di sentimenti. Poniamo però che uno lavori in banca, abbia un buon contratto e si trovi bene con i colleghi e un giorno arrivi un istituto più grande, che gli offre il doppio. Dovrebbe rifiutare? Impariamo a metterci nei panni dell’altro: che si parli di milioni di euro, a parere mio, conta relativamente poco.
Voi agenti siete persone malvagie come appare?
È un bel lavoro, ti permette di stare con i giovani e trasmettere la tua esperienza. Oggi tutti possono inventarsi procuratori, ma credo che avere dimostrato qualcosa in campo mi dia più credibilità agli occhi dei ragazzi.
Da cosa dipende chi arriva in Serie A e chi invece sta fuori?
Alla base c’è ancora il talento: il livello dei tornei si è abbassato e se uno è forte arriverà in cima.
In tv vediamo le vacanze extralusso dei campioni a Ibiza o in Sardegna. Cosa fa a giugno invece un calciatore “normale”?
È un mese duro e decisivo. I tuoi coetanei stanno in giro tutta la notte, mentre tu devi stare attento a ciò che mangi e bevi per arrivare in forma al ritiro. Ma se ti pesano dei piccoli sacrifici all’interno di una carriera relativamente breve, c’è qualcosa che non va.
Le piace più Totti o Donnarumma?
Il giorno dell’addio di Francesco, con cui ho vinto un Europeo Under 21, ho pianto. Ritengo che sia l’ultimo esemplare di un calcio che non c’è più: con i ritmi del mercato di oggi la fedeltà cieca è quasi un miraggio.
Eppure cambiare ogni anno ambiente, compagni e città deve essere impegnativo. Non le è mai pesato fare le valigie?
L’ho sempre vissuto con curiosità, anche se lo stress non mancava: quando cambi sai solo quello che lasci e devi adattarti in fretta. Dipende dal carattere di ciascuno e io sono sempre stato aiutato dall’aspetto tecnico. Ogni trasferimento fa storia a sé e non sempre sono dipesi da me.
Chi l’ha cacciata?
Dopo il mio ritorno alla Juve ebbi seri problemi con Moggi, che mi mise fuori rosa (la vicenda finì anche in tribunale) per via del mio contratto oneroso. Andai a Como, che fallì, e mi ritrovai senza squadra. Ho passato due anni difficili, rialzarsi non è stato semplice.
E i tifosi, com’era rincontrarli da avversario?
Non ho mai avuto problemi, perché non facevo nulla per accattivarmi a forza la loro simpatia. Per me parlava il campo. A volte andava bene, altre meno.
Tra tante squadre ce n’è una in cui sognava di giocare?
Mi sarebbe piaciuto ritornare alla Sampdoria, dove ho esordito e che sentivo la mia squadra, ma non ci fu mai l’occasione.