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 2017  giugno 23 Venerdì calendario

La storia della rosa Montecito creata da un avventuriero sognatore

Di rose di solito taccio, perché se ne parla con ben maggior cognizione di causa al «piano di sotto». Faccio però un’eccezione per raccontare una storia che la dice lunga non soltanto sulle gloriose e pochissimo conosciute tradizioni giardiniere di noi italiani, ma anche sull’idea di giardino che più condivido e propugno. È la storia della mia amata Rosa «Montecito», dalle foglie semi sempreverdi e dai fiori semplici, bianchi e purtroppo, come in tutte le più belle, non rifiorenti.
Un’avventura
C’era una volta, in quel di Firenze, Emanuele Fenzi, che nei primi decenni dell’800, durante il periodo napoleonico, aveva costruito dal nulla le sue fortune attraverso un’abile trama di prestiti, privilegi e confische. Il banco dei Fenzi produceva enormi ricchezze, che consentirono gli investimenti più svariati, soprattutto nel settore del ferro: è a loro che si deve la nascita del sistema ferroviario toscano, prima tra tutti la linea Firenze- Livorno, con la sua celebre stazione Leopolda.
È però il nipote a interessarci maggiormente, Emanuele Orazio Fenzi, che agli affari di famiglia preferiva i giardini, diventando addirittura Presidente della Società Toscana di Orticoltura.
A lui si deve l’introduzione in Italia della ginestra dalla bianca fioritura invernale (Retama monosperma), che divenne primadonna a Sanremo e nelle Riviere, in seguito candido emblema per variopinti matrimoni. E persino del bambù, per cui venne premiato all’Esposizione di Torino del 1884. Intanto l’impero di famiglia va disfacendosi, il Banco fallisce ed Emanuele Orazio, nonostante i molti riconoscimenti nel campo dell’orticoltura, è costretto a fuggire in California. Lì rinuncia al suo nome, inventandosi quello di Francesco Franceschi, alla ricerca di un nuovo inizio finalmente libero da obblighi e pregiudizi.
Il gusto per l’esotico
E totalmente dedito alla botanica: fonda la Southern California Acclimatizing Association nella tenuta (non sua) di Montecito, dove oltre alla mia rosa creerà molti altri giganteschi ibridi di R. gigantea con R. moschata, e sperimenta tutte quelle piante provenienti dai quattro angoli del mondo che ritiene possano ambientarsi al clima californiano, così simile a quello mediterraneo.
Impresa tutt’altro che scontata, dato che in quegli anni, Hanbury a parte, i tentativi di naturalizzazione erano ancora lontani a venire ed il gusto per l’esotico si accompagnava per lo più a serre, abaches e giardini d’inverno. Nel 1905 compra quaranta acri sulla collina di Santa Barbara, affacciati sull’Oceano. In quella proprietà che chiama «Montarioso», talea dopo talea (nulla di più perché le finanze non lo permettono), crea un piccolo vivaio ed un orto botanico.
Il Fenzi, istintivamente all’avanguardia, li pensa come un unico grande giardino, con precisi intenti scientifici, ma secondo improrogabili esigenze estetiche. Pianta il famoso anfiteatro di palme, più di un centinaio coltivate a partire da seme e introduce camelie, dafni e rododendri all’ombra leggera delle querce, mentre agavi, aloi e cactus popolano le scarpate più secche ed assolate.
Analogie di coltivazione
L’acqua è garantita nei primi anni dell’impianto, poi ognuno deve fare per sé e chi non resiste viene naturalmente abbandonato (un po’ come da me, qui a Revello). Ogni pianta viene messa a dimora dopo un’attentissima valutazione del microclima e delle caratteristiche del suolo, e raggruppata secondo evidenti analogie di coltivazione. Il suo intento è selezionare le specie non endemiche che si adattino allo scenario californiano con estrema facilità e naturalezza. Proprio come avviene per la ormai diffusissima Phyla nodiflora, che è tra i primi ad utilizzare per sostituire i ben più esigenti prati all’inglese.
Le difficoltà economiche tuttavia continuano, il giardino viene in parte venduto e Franceschi, a settantadue anni, si lancia in una nuova impresa: torna in Italia, riprende il suo vero nome e va in Libia per valutare la possibilità di nuove piantagioni agricole o ornamentali nella nuova colonia. Studia le piante endemiche delle oasi, albera con eucalipti città, strade militari e ferrovie, avvia la coltivazione dell’avocado e di molte altre specie da frutto tropicali e semitropicali. Coraggio e passione non gli mancano. E anche gli ideali botanici: Ecco perchè Montecito per me non è soltanto una rosa...