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 2017  giugno 22 Giovedì calendario

Ius ma non soli

Vediamo se in Italia si può ancora discutere una legge senza finire condannati dal tribunale del pensiero unico e arrostiti sul rogo delle nuove streghe razziste, leghiste, lepeniste e trumpiste. Parliamo del cosiddetto ius soli-ius culturae, per usare il latinorum degli autori e fautori della legge approvata due anni fa alla Camera e ora in discussione al Senato.
1)Il principio “è italiano anche chi nasce in Italia da genitori stranieri e qui risiede, studia e lavora” è sacrosanto. Tant’è che è già riconosciuto dalla legge italiana del 1992, ma solo per chi ha compiuto 18 anni (nel solo 2016 hanno ottenuto la cittadinanza 160 mila immigrati, di cui 65 mila neodiciottenni nati e residenti qui). Si tratta di equiparare maggiorenni e minorenni (anche se già oggi tutti i minori stranieri godono degli stessi diritti scolastici e sanitari degli italiani). E soprattutto di decidere come. Il problema è il come: in Europa ciascun Paese si regola come gli pare, applicando il principio nei modi più diversi.
2)Gli altri. Solo gli Usa, tra i grandi Stati occidentali, riconoscono il pieno ius soli a chiunque nasca nel Paese. Lo faceva anche il Regno Unito, ma poi nel 1993 è tornato indietro: da allora la cittadinanza automatica viene concessa solo a chi ha un genitore cittadino britannico o con un permesso di soggiorno illimitato, o ai bambini che hanno vissuto lì ininterrottamente i loro primi 10 anni. In Francia e in Spagna bisogna avere almeno un genitore nato nel Paese (o, per la Francia, risiedere per 5 anni e aspettare i 18). In Germania la cittadinanza è automatica se il genitore abita lì regolarmente da almeno 8 anni e se il figlio conosce almeno il tedesco. L’Olanda fa come oggi l’Italia.
3)La nuova legge, se passerà in Senato così com’è, trasformerà l’Italia dal Paese europeo più severo in quello più generoso. Diventerà automaticamente italiano: sia il minorenne nato in Italia con uno dei genitori comunitario munito di permesso di soggiorno permanente o extracomunitario dotato di permesso di soggiorno di 5 anni (ius soli); sia il minore di 12 anni nato all’estero che ha completato un ciclo di studi, cioè i 5 anni di scuola elementare (ius culturae). Se la legge entrasse in vigore domani, diventerebbero italiani oltre 800 mila figli di immigrati, di cui solo un quinto nati all’estero muniti di licenza elementare. Aumenterebbero al ritmo di 60 mila all’anno. E tutti, subito o molto presto, andrebbero a votare. Quindi non raccontiamo frottole. Quindi poche balle: anche chi vuole questa legge, non solo chi la osteggia, nasconde interessi elettorali. Come dimostrano le primarie del Pd taroccate dalle truppe cammellate straniere.
4) False paure. Alcune ragioni sventolate dai nemici della legge sono inaccettabili: quelle xenofobe della Lega e delle altre destre che agitano gli spauracchi dell’invasione, della contaminazione razziale, della perdita di identità, dello scontro genetico di civiltà; e quelle benaltriste dei 5 Stelle, che non rifiutano il principio dello ius soli (in passato avevano presentato disegni di legge simili a quello in cantiere), ma dicono che i problemi sono altri e che non è questo il momento. Altri argomenti sono più seri. Come il rischio di incentivare l’immigrazione clandestina (vengo in Italia di nascosto, partorisco, mi sottraggo al rimpatrio, aspetto la solita sanatoria e poi todos caballeros), peraltro inevitabile e comune agli altri Paesi Ue che riconoscono a vario titolo lo ius soli. E può essere scongiurato non rinunciando a un giusto principio, ma facendo rispettare seriamente la legge da tutti, italiani e stranieri.
5) Obiezioni fondate. La prima riguarda lo ius culturae: come notava già Giovanni Sartori, non un adepto del Ku Klux Klan, pensare che 5 anni di scuola elementare bastino ad assicurare la conoscenza dell’italiano (non la garantiscono neppure agli italiani) e dei principi costituzionali fondamentali (a partire dalla laicità dello Stato, piuttosto negletta nel mondo islamico) significa raccontarsi balle. La cittadinanza non può essere gratuita, incondizionata, automatica. Andrebbe sia richiesta sia meritata, previo esame di lingua italiana e di educazione civica (così magari dovrebbero insegnarla a scuola anche ai nostri figli). La seconda riguarda la sicurezza. Siccome non tutti i mali vengono per nuocere, lo scandaloso ritardo italiano sullo ius soli ci consente di legiferare alla luce delle questioni imposte dalle nuove forme di terrorismo jihadista, del tutto diverse da quelle del passato. Che oggi si possono prevenire in un solo modo, visto che la repressione arriva sempre quando ormai è tardi, cioè quando il reato è già stato commesso: spiare, infiltrare, pedinare, intercettare e controllare gli ambienti jihadisti per scovare propagandisti e fiancheggiatori del terrore, compresi i potenziali attentatori, ed espellerli in tempo nei rispettivi Paesi (175 casi negli ultimi due anni). Ora, chi non è cittadino italiano può essere preventivamente espulso dal Viminale. Ma chi lo è purtroppo no: se fa propaganda per l’Isis, dobbiamo tenercelo e non possiamo fargli nulla finché non compie un delitto. Perché allora non giocare su una sorta di doppia cittadinanza, con quella originaria piena e indiscutibile e quella italiana condizionata e revocabile se il beneficiario ne abusa? Si potrebbe imitare il Vaticano, che predica lo ius soli in casa nostra, ma in casa propria (vedi pag. 10) concede una cittadinanza a tempo, retrattile. O adottare sistemi premiali e graduali, in base ai titoli di studio e alla posizione professionale. O ancora seguire le regole più stringenti di altri Stati europei. Se esiste un’opposizione, la smetta di berciare no a tutto e proponga emendamenti di buonsenso.