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 2017  giugno 22 Giovedì calendario

La panchina di Grosso, unico eroe Mondiale in fuga dalla celebrità

BARI Alla paura di sbagliare, Fabio Grosso ha sempre anteposto il coraggio di provarci. A Prato, durante un play off di C2, quando su rigore regalò al Chieti una fetta di promozione malgrado avesse appena firmato per il Perugia. E soprattutto a Kaiserslautern, Dortmund e Berlino, in quel suo mondiale da prima pagina, quando tutto gli riusciva facile.
A Grosso, dopo le notti da eroe con Australia, Germania e Francia, è riuscito facile persino trasformarsi da divo ad antidivo, ripartendo senza pretendere nulla e senza cavalcare l’onda eterna della notorietà. Facile, almeno fino a ieri per l’eroe di Germania 2006 che, in linea con il suo “coraggio di provarci”, ha accettato la panchina del Bari. Società giovane, tifosi esigenti e sempre più ansiosi di tornare in serie A, città meno riservata, più pressante con i suoi beniamini calcistici. E qui a Bari schivare la celebrità sarà più difficile che a Torino.
«Non ho mai amato essere sotto le luci dei riflettori. So che il ruolo che ricopro me lo impone, ma credo di poterlo gestire. Ho un carattere solare, ma lo mostro soprattutto con le persone a me vicine», conferma il tecnico, reduce da tre stagioni alla guida della Primavera della Juventus. La famiglia, quindi: la moglie Jessica, laureata in Matematica e fisica e appassionato di danza classica, conosciuta ai tempi della Renato Curi in Eccellenza, i figli Filippo (11 anni) e Giacomo (8). E poi gli amici, dagli ex compagni di squadra Gigi Buffon, Claudio Marchisio e Andrea Barzagli, a cui è legato fin dai tempi del Palermo, a quelli di Pescara, che Grosso ritrova soprattutto d’estate e con i quali condivide, al lido “Il moro”, ombrelloni extralarge e infinite sfide di foot volley. Molti di loro lo seguirono anche in Germania, al Mondiale del 2006: la trasferta la pagò Fabio, al rientro in Italia. Ritorno segnato dall’attesa paternità, per Grosso. Ma anche dalla fama, questa indesiderata. «Alle due di notte le persone lo aspettavano sotto casa, per un autografo. Spesso mi facevo consegnare le magliette e gliele facevo firmare io», racconta in proposito Giorgio Repetto, ex calciatore e suocero di Grosso.
Fabio ha giocato nell’Inter, poi nel Lione, infine nella Juve, poco e rimanendo a lungo ai margini. Dalla Juve, però, è ripartito: vice di Andrea Zanchetta sulla panchina della Primavera, poi suo successore, concentrato sempre sul presente e sul lavoro. Raramente ha parlato di quel “suo” mondiale, né ha mai vestito i panni dell’opinionista. Nella sobria Torino, ha trovato la dimensione ideale per coltivare la sua nuova professione con la privacy desiderata: «Mi piace dare il massimo nel mio lavoro, ma senza apparire troppo. È il mio carattere, sono fatto così». Fuori dal campo, teatri e concerti (l’ultimo, quello di Fedez), ma niente locali alla moda, né esibizionismi con auto di lusso e vestiti. Alla Juventus ha saputo valorizzare e lanciare giovani come Lirola e Favilli. Qualcuno forse lo raggiungerà al Bari, dove a volere Fabio (contratto biennale con opzione per il terzo anno) è stato il suo ex compagno di squadra Sean Sogliano, attuale ds dei biancorossi.
Grosso punta a costruire «una squadra composta da giocatori che a Bari vogliono vivere l’anno migliore della loro carriera».
Un po’ come capitò a lui, nell’estate di 11 anni fa. Prima di giocare a nascondino con la celebrità.