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 2017  giugno 22 Giovedì calendario

La lunga marcia del Gandhi turco che fa tremare il sultano Erdogan

ISTANBUL La camicia bianca, le maniche rimboccate, in testa un cappellino per proteggersi dal sole ma ben visibile la scritta rossa “adalet”, giustizia. La sua lunga marcia, 500 chilometri a piedi fra Ankara e Istanbul, è oggi a un terzo del suo percorso. Lo chiamano “Gandhi”, perché fermo e mite. Ma Kemal Kilicdaroglu è fatto anche di ferro. Da molti anni è il leader del principale partito di opposizione in Turchia, quello Repubblicano del popolo (centrosinistra), ma ora la sua battaglia sta stupendo il Paese. Ci vorranno ancora 16 giorni prima che raggiunga la prigione di Kartal Maltepe, dove un tempo stavano i criminali e i Lupi grigi assassini e ora sono rinchiusi parlamentari e giornalisti.
La Turchia è sempre molto creativa, nell’arte e nella politica. Le forme plastiche di protesta uscite dalla rivolta di Gezi Park nel 2013 – le nonne con la fionda, la ragazza con il vestito rosso investita dagli idranti della polizia, l’uomo in piedi silenzioso per ore davanti al ritratto di Ataturk – sembrano però tornare nei momenti più oscuri. Adesso, di fronte allo strapotere del partito conservatore di origine religiosa e di un governo che sembra mangiarsi il Paese un pezzo dopo l’altro, il capo dell’opposizione ha adottato una nuova forma di lotta. Kilicdaroglu l’ha ribattezzata “marcia della giustizia”. E l’ha inaugurata una settimana fa, quando è stato condannato a 25 anni Enis Berberoglu, suo numero due, in passato celebre giornalista. Berberoglu è stato accusato di essere stato la fonte di una notizia, ultima tipologia fra le svariate categorie messe in ceppi in Turchia. E cioè di avere fornito il video di un camion turco protetto dai servizi segreti e carico di armi che doveva passare in Siria. Rivelazione che, due anni fa, dimostrò il coinvolgimento di Ankara nella guerra contro Damasco, mise il governo in serio imbarazzo e provocò un’ondata di arresti al quotidiano Cumhuriyet che l’aveva diffusa. L’allora direttore Can Dundar passò quasi 100 giorni in prigione, e così il suo caporedattore Erdem Gul. Altri giornalisti furono arrestati a vario titolo, dall’editore al vignettista, e sono tuttora in 11 in prigione.
Lungo le strade caldissime di questi giorni in Turchia, le più afose dell’anno, “Gandhi” è accompagnato di tappa in tappa da migliaia di persone che si aggiungono, lo sostengono, e lo sorvegliano quando si ferma a dormire. I motivi della sua battaglia sono però i più vari. Kilicdaroglu ha preso solo spunto dall’ultimo caso, ma la protesta si amplia a tutta una serie di temi: dai leader del partito curdo imprigionati per”terrorismo” alle accuse di brogli per i 2 milioni e mezzo di schede contestate nel referendum che il 16 aprile ha dato tutti i poteri a Recep Tayyip Erdogan.
Proprio Erdogan l’altra sera si è scagliato contro il suo antagonista. A una cena simbolicamente avvenuta con i rappresentanti della stampa, il presidente ha detto che «la marcia è illegale». «Per coloro che violano la sicurezza nazionale ci saranno conseguenze», ha aggiunto. “Gandhi” ha controbattuto: «Sono le parole di un dittatore». La polemica è passata ora nelle mani dei giornali filogovernativi: ad accompagnare la marcia di Kilicdaroglu ci sarebbero «terroristi, gli sgherri dell’organizzazione putschista di Fethullah Gulen e i provocatori di Gezi Park».
Partita dal centro della capitale turca, la camminata libertaria del Gandhi turco si fermerà all’inizio di luglio, nella parte asiatica di Istanbul, dove Berberoglu è detenuto. Un’impresa a cui la Turchia, di qualsiasi confessione politica, assiste comunque incantata.