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 2017  giugno 22 Giovedì calendario

Il principe saudita che diventerà re. Riad cambia le regole un trentenne al potere

Fino a due anni fa, quando suo padre Salman diventò re, quasi nessuno al di fuori dell’Arabia Saudita sapeva chi fosse Mohammed Bin Salman. Ma ieri, a 31 anni, il principe-bambino, come all’inizio della sua carriera lo definivano gli analisti, è diventato una delle figure più importanti del Medio Oriente. Con un annuncio arrivato a mezzanotte, che ha stupito anche i più esperti fra gli osservatori delle cose saudite, re Salman, 82 anni, ha nominato il figlio prediletto erede al trono, sostituendolo nel ruolo al nipote Mohammed Bin Nayef. Privato di tutti i suoi titoli, compreso quello di ministro dell’Interno, Bin Nayef, 57 anni, è il più esperto e autorevole dei principi di Riad, l’uomo che ha fermato la diffusione di Al Qaeda nel regno e che per questo ha quasi perso la vita, scampando per miracolo a un attentato nel 2009.
La mossa equivale a un terremoto in una delle regioni più instabili del mondo ed è destinata ad avere conseguenze anche sul mercato del petrolio, di cui l’Arabia Saudita è il maggiore produttore mondiale. Fino a oggi il Paese è sempre stato guidato dai figli del fondatore del regno Abdelaziz Ibn Saud. Il risultato negli ultimi due decenni era stato il susseguirsi sul trono di uomini anziani e spesso malati, chiamati a governare su una nazione sempre più giovane e insofferente alle rigide regole imposte dal wahabismo, la corrente conservatrice dell’Islam che domina sull’Arabia Saudita. Salman aveva già interrotto la tradizione, togliendo la carica di principe ereditario a uno degli ultimi fratelli rimasti e consegnandola alla seconda generazione, guidata appunto da Mohammed Bin Nayef. Ora lo scettro viene affidato a un uomo che ha la stessa età della maggior parte della popolazione su cui sarà chiamato a regnare – il 60 per cento dei sauditi ha meno di 30 anni – e che dovrà essere in grado di sfruttarne le potenzialità se vorrà evitare di confrontarsi con i problemi che la Primavera araba ha posto a tanti Paesi dell’area.
Negli ultimi due anni Mohammed Bin Salman si è reso protagonista di una delle più rapide ascese al potere della Storia del Medio Oriente. Sotto lo sguardo del padre da rampollo privo di ogni esperienza politica si è trasformato in ministro della Difesa, responsabile delle Politiche economiche e giovanili e titolare del contestato progetto di privatizzazione di Saudi Aramco, la più grande compagnia petrolifera del mondo, cassaforte delle ricchezze del regno. Ma MBS, come tutti lo chiamano a Riad, è diventato soprattutto il volto e il motore di un Paese che vuole a tutti i costi cambiare faccia, allentando la dipendenza dal petrolio, modernizzando una fra le società più chiuse del mondo, portando i giovani e le donne sul mercato del lavoro, sviluppando nuove tecnologie.
Più la sua importanza cresceva, più diminuiva quella del cugino. Durante la visita di Donald Trump a Riad, lo scorso aprile, il fatto che ai due principi fosse stato riservato lo stesso tempo con il presidente era stato interpretato come ulteriore segnale della forza di MBS. Ma nonostante questo, nessuno si aspettava un cambio così improvviso. Da oltre venti anni, Mohammed Bin Nayef è il più forte punto di riferimento per gli americani, e in particolare per la CIA, all’interno della casa reale saudita. È grazie a lui che è stato sconfitto quel network che l’11 settembre 2001 aveva portato 15 sauditi, su un totale di 19 membri del commando, a distruggere le Torri Gemelle e il Pentagono. Per questo ieri, nella comunità dell’intelligence Usa i segnali di irritazione non sono mancati. Eppure è proprio da Washington che sarebbe arrivato il colpo finale per lui. Secondo fonti vicine alla corte saudita, consapevole della rapida perdita di influenza, Mohammed Bin Nayef negli ultimi mesi si sarebbe avvicinato al Qatar, per contrastare l’influenza del cugino. La nota con cui due giorni fa il dipartimento di Stato chiedeva ufficialmente all’Arabia Saudita di dare spiegazioni sulle reali ragioni dietro alla crisi con il Qatar avrebbe provocato la reazione del re e la convocazione del consiglio notturno che ha decretato la rimozione. «È difficile dire quello che accadrà ora – dice Hadi Fadallah del Carnegie Endowment – ma certo l’Arabia Saudita è in una fase delicatissima della sua storia. Mohammed Bin Nayef è un uomo di grande esperienza e senza di lui il regno non godrà della stessa sicurezza interna. Inoltre, si può sospettare che molti membri della famiglia reale non siano felici per quello che è accaduto. La loro reazione è tutta da vedere».
Le conseguenze dell’annuncio di ieri non saranno limitate all’Arabia Saudita. Mohammed Bin Salman rivendica da tempo un ruolo più aggressivo per il suo Paese nella regione. È l’uomo che ha voluto la guerra in Yemen, con la promessa di sconfiggere presto i ribelli Houthi, considerati vicini all’arcirivale Iran, e riportare il governo legittimo a Sana’a. Ma l’intervento saudita non ha fatto che peggiorare la crisi, facendo dello Yemen la peggiore crisi umanitaria del mondo secondo l’Onu. È la mente dietro all’attuale isolamento politico del Qatar e, soprattutto, è colui che a più riprese ha negato la possibilità di un dialogo con l’Iran. Lo scorso anno un documento dell’intelligence tedesca metteva in guardia contro l’avventatezza e l’ambizione del principe. Il tempo per vedere se quelle valutazioni erano esatte è arrivato.