Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  giugno 22 Giovedì calendario

Venezia, il ruggito del leone. Così nascono i canestri d’oro

Il giorno dopo. Rivisitando l’impresa di Venezia e il suo storico scudetto, 74 anni dopo i due conquistati nell’avara economia di guerra, oggi riportato in laguna sotto le insegne del nuovo doge, Luigi Brugnaro, sindaco della Serenissima e patron della Reyer, che in 11 anni ha rinnovato gloria e fasti e creato l’Universo Reyer, con 23 società satelliti, la fantasia corre a un verso del Maestrone... «Leone di San Marco, leone del profeta, corre il tuo Vangelo. Si staglia contro il cielo il tuo simbolo strano. La spada, e non il libro hai nella mano». Scriveva Francesco Guccini. Che tradotto nell’esperanto del basket vorrebbe dire «più tiro da tre punti che lettura della partita».
È così che Venezia ha vinto lo scudetto? Insorge Walter De Raffaele, il coach tricolore: «Capisco che molti vorrebbero farci passare per degli psicolabili dediti al corri e tira, ed è anche vero che il siluro di Bramos in gara 5 ha girato, quantomeno psicologicamente la serie di finale scudetto permettendoci di andare a Trento a “fare la partita” e non subirla, come è anche vero che all’ultimo scontro la ferita decisiva a una meravigliosa Trento è stata inferta dalle cinque triple consecutive del terzo quarto...». Ma? «Noi viviamo e moriamo di quello che siamo. Ovvero non di solo tiro pesante, anche se quello, visto i tiratori che abbiamo, è sempre stata la chiave. Preparata, però, con il gioco corale». Ovvero? «Difese tattiche per aumentare i possessi per non dipendere troppo dalle percentuali di realizzazione, e poi aprire il campo con il dinamismo di chi taglia verso canestro per abbassare e far chiudere la difesa avversaria. Non siamo mutanti ma “rollanti”. E non è un mistero che a me piace il finto pivot».
Bella, davvero, per certi versi anche di assoluta avanguardia, l’estenuante sfida tra le panchine emergenti del panorama nazionale, tra De Raffaele, 49 anni, livornese, e Maurizio Buscaglia, 48 anni, barese di nascita e perugino di adozione.
Che scudetto è, per De Raffaele? «Lo scudetto di uno che prima li aveva sempre visti dall’altra parte dello schermo tv, e ora ci si è trovato dentro. Travolto da ritmi danteschi dove non si distingueva il giorno dalla notte. Uno scudetto non programmato, non aspettato, sudato con il lavoro e con pochi compromessi con me stesso. Ho sempre fatto questo lavoro non per essere il più bravo, ma per misurarmi con me stesso, per fare sempre un passo avanti, onorando il testamento morale di mio padre Carlo, che con i suoi sacrifici mi ha insegnato che in ogni impresa ci deve sempre essere un filo umano». Quello che ha dato coesione allo spogliatoio veneziano.
Parole sussurrate negli abbracci del trionfo: «Grazie per questa occasione – ha detto MarQuez Haynes al suo allenatore – Dopo le vittorie in Francia con Chalon, in Israele con il Maccabi e quella in Grecia con il Panathinaikos, ora mi sento molto più ragazzo dell’Europa». E Julyan Stone: «Hai visto coach? Sono tornato per finire il lavoro». E Tomas Ress, il veterano (37 anni) all’ottavo scudetto, dopo il primo con la Virtus Bologna (1998) e i sei con la Mens Sana Siena, scherzava: «Adesso finalmente, quando sarà l’ora, potrò andare in pensione dal basket con il titolo di cavaliere del lavoro».
Che ne sarà di questo scudetto? Una semplice avventura, oppure un solco entro il quale seminare? «Non penso a ipotetiche strisce vincenti, ma all’ambizione di confermarci tra le prime. Spero, invece, che possa diventare il solco e la spinta alla realizzazione del nuovo Palasport, irrinunciabile per Venezia».