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 2017  giugno 22 Giovedì calendario

Uber, colosso senza testa. Via il fondatore Kalanick

New york Il fondatore di un’impresa di grande successo mondiale che la controlla con la maggioranza assoluta del capitale e dei voti nel «board» costretto a dimettersi. Sembrava impossibile e invece il malumore degli azionisti di minoranza di Uber si è trasformato in rivolta spingendo Travis Kalanick a farsi da parte per evitare che la sua creatura sia travolta da una guerra intestina.
Dopo essersi autosospeso dalla carica di amministratore delegato per qualche mese, Travis ieri ha accettato di rendere definitiva la sua uscita di scena dalla gestione aziendale, messo con le spalle al muro da una lettera di cinque fondi d’investimento che controllano un quarto del capitale Uber. Azionisti di minoranza ma essenziali: sono stati loro a versare i 14 miliardi di dollari coi quali Uber è stata costruita a partire dalla sua fondazione, nel 2009. Se la sua fosse stata un’azienda redditizia, Kalanick – sotto accusa per scandali sessuali, condizioni di lavoro, furto di tecnologie e ostruzione della giustizia – avrebbe potuto provare a resistere. Ma l’azienda, anche se è valutata dal mercato più di 70 miliardi di dollari, continua a perdere miliardi e il profitto non è ancora all’orizzonte. Insomma, Kalanick ha dovuto accettare il «diktat» dei fondi Benchmark, First Round Capital, Menlo Ventures, Fidelity Investments e Lowercase Capital perché non può fare a meno dei loro soldi.
Messo alla porta lui, ora dovrebbe iniziare la fase di riforma e ricostruzione dell’immagine dell’azienda, ma ci sono molte incertezze e non solo perché il fondatore resta comunque in cda da azionista di controllo dell’impresa: il punto è che oggi la plancia di comando di Uber è vuota per via delle epurazioni fatte nelle settimane scorse dopo l’emergere degli scandali a sfondo sessuale e dopo l’uscita di scena, nove giorni fa, del vicepresidente esecutivo per il business Emil Michael: il numero due e braccio destro di Kalanick, da lui sacrificato per tentare di salvarsi.
Oggi, così, sul ponte di comando non c’è più l’amministratore delegato né il suo numero due, mentre in precedenza si erano già dimessi il presidente Jeff Jones, il direttore finanziario Goutam Gupta, l’altro vicepresidente esecutivo (per l’«engineering») Amit Singhal e anche il capo della ricerca sui sistemi di guida senza pilota Anthony Levandowski, denunciato da Google-Alphabet per aver rubato la sua tecnologia in questo campo.
Chi li rimpiazzerà? La scelta spetta alla maggioranza di Kalanick, ma i fondi di minoranza hanno già mandato il loro altolà. Intanto la società cerca di tranquillizzare i clienti e placare l’altra rivolta: quella del milione e mezzo di autisti che si sentono maltrattati. Uber li addolcisce rinunciando alla sua politica «no tip»: chi voleva, fin qui la mancia l’ha dovuta dare «cash», non essendo previsto l’addebito automatico come avviene, ad esempio, per i taxi Usa pagati con carta di credito. Ora in America il software sarà modificato per aggiungere l’opzione della mancia che il «driver» incasserà immediatamente.