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 2017  giugno 22 Giovedì calendario

Senza corona né carrozza. Elisabetta parla (per May). E si limita alla Brexit

Londra Una regina senza corona per una premier senza governo. La coreografia del discorso di ieri di Elisabetta, che ha letto davanti alle camere riunite il programma legislativo scritto da Theresa May, non poteva essere più appropriata: la sovrana non indossava la tiara né i paramenti regali, bensì un abito «borghese», è arrivata a Westminster in macchina invece che nella tradizionale carrozza coi cavalli e ha evitato la processione reale alla Camera dei Lord, preferendo usare l’ascensore.
Gli «elementi cerimoniali ridotti», come sono stati definiti, sono stati motivati con l’accavallarsi delle prove con la parata di sabato scorso per il compleanno ufficiale della regina. Ma in realtà illustravano il fatto che Theresa May è una premier senza autorità che non è riuscita neppure a mettere assieme una coalizione di governo in tempo per il discorso ufficiale della regina.
La sconfitta elettorale dell’8 giugno ha lasciato i conservatori senza maggioranza in Parlamento e l’appoggio esterno del piccolo partito unionista nordirlandese non è stato ancora formalizzato: gli unionisti continuano a chiedere pesanti contropartite, soprattutto in termini di finanziamenti a pioggia per la loro provincia.
Era la prima volta dal 1974 che Elisabetta si presentava «spoglia» dei suoi attributi. E un altro elemento di discontinuità era l’assenza al suo fianco del principe Filippo, ricoverato in ospedale a scopo precauzionale per il ripresentarsi di un’infezione. Filippo è anche in via di «pensionamento» ufficiale e il suo posto è stato preso dall’erede al trono, il principe Carlo.
Ma la conseguenza maggiore della diminuita autorità di Theresa May la si poteva leggere nelle pagine del discorso pronunciato da Elisabetta: un programma di governo ridotto all’osso, da cui sono scomparse tutte le misure più controverse del manifesto conservatore, che pure erano state sbandierate durante la campagna elettorale.
Nessun accenno dunque al tetto per i prezzi dell’energia, al ripristino delle scuole selettive, alla riduzione dei sussidi per il riscaldamento in base al reddito, al ritorno della caccia alla volpe o all’abolizione dei pasti gratis nelle scuole materne. Né è stato ripetuto l’obiettivo di ridurre drasticamente i numeri dell’immigrazione.
Il grosso del programma si è concentrato sulla Brexit. Nei prossimi due anni il Parlamento dovrà trasferire 40 anni di direttive europee nella legislazione britannica, prendere il controllo delle frontiere e ripudiare l’Atto del 1972 che condusse il Regno Unito nell’allora Comunità economica europea.
Una tabella di marcia impegnativa di per sé, ma che risulta ancora più problematica data la posizione traballante di Theresa May. Non sarà facile condurre in porto quella complessa legislazione senza una maggioranza solida: ogni provvedimento è esposto al rischio di imboscate parlamentari, specialmente le leggi sulla Brexit che devono essere approvate entro il marzo 2019, data entro la quale la Gran Bretagna cesserà di essere membro della Ue.
La contraddizione è stata subito colta dal leader laburista Jeremy Corbyn, che ha affermato che il suo partito «non è semplicemente un’opposizione, ma un governo in attesa, pronto a prendere le redini quando l’amministrazione conservatrice imploderà». Per Corbyn «questo è un governo senza maggioranza, senza un mandato, senza un serio programma legislativo, guidato da un primo ministro che ha perso la sua autorità politica».
Un’altra omissione importante nel discorso della regina è stata la visita di Donald Trump, originariamente prevista per questa estate o al massimo per l’autunno. La mancata menzione indica chiaramente che la visita è di fatto cancellata, almeno per i prossimi due anni. Il presidente americano aveva già fatto capire che avrebbe preferito evitare il viaggio in caso di proteste contro di lui: e in Gran Bretagna era già scattata un’ampia mobilitazione, con una petizione che aveva raccolto centinaia di migliaia di firme. Trump si era ulteriormente inimicato gli inglesi per aver attaccato su Twitter il sindaco di Londra Sadiq Kahn, accusandolo in sostanza di non essere fermo contro il terrorismo. Khan non aveva neppure raccolto la provocazione.