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 2017  giugno 22 Giovedì calendario

La Città Eterna? Acefala. Manca la progettualità e coi privati non c’è dialogo

La concezione culturale romana contemporanea riposa dentro una vecchia polemica: quando i Della Valle si incaricarono di finanziare la ristrutturazione del Colosseo, che era nero come certi umori, lo scandalo alzò le geremiadi e rallentò i lavori: avremmo visto lo scempio delle Tod’s tatuate sui marmi millenari. Poi lo scempio non s’è visto, ma la diffidenza per i denari privati continua a essere l’unico patrimonio comune della città. E così la partenza verso il Nord delle grandi aziende è sia il sintomo sia la causa di una malinconica e lunga stagnazione culturale, passata sotto gli occhi intorpiditi di varie amministrazioni. Quando fu eletto sindaco Gianni Alemanno (2008), allora di Alleanza nazionale, un certo birignao progressista annunciò l’imminente devastazione dell’orda fascista. Si veniva dai governi di Francesco Rutelli e Walter Veltroni, a cui si devono gli ultimi grandi progetti culturali, dall’Auditorium alla Festa del Cinema (e molto altro, specie su iniziativa di Rutelli), e però non è che la destra fosse costituita da un branco di aratori, e assessore venne nominato un uomo raffinato ed eclettico come Umberto Croppi. Che, però, dopo un paio d’anni o poco più capì che aria tirava in Campidoglio e si dimise. E da lì in poi, travolti dalle difficoltà e da qualche limite personale, sia Alemanno sia i successori, Ignazio Marino e Virginia Raggi, hanno lasciato la cultura ai margini delle loro priorità.
Proprio in questi giorni la morte di Carla Fendi dà il segno di un mondo che se ne va, e di quanto l’iniziativa privata, specie se accompagnata dai lumi dell’iniziativa pubblica, sappia contribuire al bello, e alla crescita economica. Con Carla Fendi se ne va quel non molto della moda che restava a Roma, e se ne va un certo amore per la città, che aveva a che fare nelle manifestazioni più plateali con la ristrutturazione della fontana di Trevi e con le mostre al Palazzo della civiltà (Colosseo quadrato) dell’Eur, scelto come sede dell’impresa. Magari gli eredi saranno altrettanto brillanti, ma il senso di abbandono si acuisce. A Roma oggi rimane la vitalità versatile dell’Auditorium, la tradizione ormai un po’ mercantile dello Strega, la Festa del Cinema che sotto la direzione artistica di Antonio Monda ha guadagnato in visitatori e prestigio (solo l’anno scorso sono arrivati Tom Hanks e Meryl Streep), e resistono naturalmente i Musei Vaticani e tutta l’archeologia imperiale, ma i successi sono rapsodici, non hanno un coordinamento e lo si vede soprattutto nell’arte contemporanea, spezzettata fra qualche buona intuizione del Maxxi o del Macro (due progetti di Rutelli), ma che non riesce ad avviare eventi di portata nazionale.
In realtà niente più di quello che si allestisce a Roma smuove i turisti. Non ci sono più grandi mostre, e forse anche perché si ritiene che le grandi mostre non servano, in una città che è un richiamo irresistibile per sua natura. Per qualcuno è meglio avviare mostre mirate, anche di perfezione periferica. E però nulla di nuovo ha un rango internazionale. Le grandi fiere del libro sono altrove. Nonostante i successi di Monda, il cinema paga la crisi di Cinecittà e il declino della Rai. Il Teatro dell’Opera conserva un senso per l’abnegazione di Carlo Fuortes. Le scuderie del Quirinale illanguidiscono nell’indifferenza. Il design non esiste, sequestrato da Milano soprattutto col clamoroso Salone del Mobile. La musica classica si affida a testardi amatori che ruotano attorno a Santa Cecilia. Le star del pop e del jazz capitano quando capita, ma che fine hanno fatto i concerti all’Olimpico di giganti come Miles Davis o Pat Metheny? Eppure gli spazi ci sono. Ha una sua recentissima esuberanza la Dogana di San Lorenzo, salvata un attimo prima della distruzione e recuperata a mostre di arte contemporanea ed eventi musicali. Bisognerebbe grattarsi un po’ la testa sperando che ne esca qualcosa: che avvii una politica culturale per fare connessione, e magari immaginare Roma capitale dei fumettari, dei videogiochi, della fiction, di qualcosa di nuovo che si incastri nella struggente e ineguagliabile storia della Città Eterna, che gli dia un innesto di sangue, sempre che non si elevi qualche custode della sacralità, che il più delle volte è soltanto un sacerdote della prolungata acefalia.