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 2017  giugno 22 Giovedì calendario

Parlamento di voltagabbana. Tra Camera e Senato sono 500 i cambi di casacca

Dicono che solo i fessi non cambino mai idea. E allora possiamo stare sicuri: i nostri politici hanno un Qi superiore alla media. In queste ore il Parlamento festeggia un curioso primato. Dall’inizio della legislatura, primavera 2013, sono stati cinquecento i cambi di Gruppo parlamentare. Bisogna festeggiare o vergognarsi? Boh, giudicate voi. La Costituzione, all’articolo 67, stabilisce un principio fondamentale. Che deputati e senatori esercitano il loro ufficio senza vincolo di mandato. Ciò significa che, pur essendo eletti con un partito, la Carta fondamentale (e dunque anche la legge ordinaria) non vieta loro di cambiare partito in corso di legislatura. Qualcuno ci ha provato a mettere le briglie alla propria cavalleria parlamentare. Tipo i Cinquestelle. Ma il terreno è scivoloso, perché ogni regolamento interno di partito che contraddice il dettato costituzionale è cartastraccia. E quindi il fenomeno non lo si argina facilmente. 
CON LA VALIGIA 
La legislatura numero diciassette sarà ricordata nel libro dei Guinness. A Montecitorio il conteggio aggiornato parla di 274 cambi di casacca; a Palazzo Madama sono stati 226. Molti sono i recidivi. Per cui i deputati “in movimento” sono stati in totale 189, mentre i senatori sono stati 133. In media, secondo uno studio di OpenPolis, ogni mese dieci parlamentari hanno cambiato gruppo di appartenenza. Una media, riferisce ancora il sito di approfondimento, che è più di due volte superiore rispetto a quella della scorsa legislatura. Che era di 4 salti della quaglia ogni trenta giorni. 
Perché? C’entra il fatto che, nel 2013, nessuno ha vinto le elezioni. E ciò ha alimentato l’incertezza e l’instabilità politica. C’entrano le lune delle due principali leadership in campo. Quella di Silvio Berlusconi, prima calante e ora in ripresa. Quella di Matteo Renzi. Che prima ha attratto transfughi e poi li ha determinati. Il gruppo di Forza Italia alla Camera si era addirittura dimezzato a pochi mesi dalle urne. Fin troppo chiare le ragioni: la condanna definitiva per frode fiscale del Cavaliere, la sua estromissione dal Senato per effetto della legge Severino, il suo addio al governo delle larghe intese. Ben 52 deputati azzurri lo diedero per stracotto. Guardando chi ad Alfano, chi a Fitto, chi a Verdini. Ora? Berlusconi sta ancora lì e sembra essere il più tonico di tutta quella banda. Sicchè è cominciato il controesodo. Da alcuni giorni c’è una corsa a iscriversi al gruppo di Renato Brunetta. «Contiamo di arrivare a 15 nuovi innesti», ha annunciato il capogruppo azzurro. Hanno già preso posto Palese, Labriola, Causin e Nissoli. Arriveranno Vezzali, D’Agostino e Piccinelli. Quest’ultimo al Senato. 
Ma il Cristiano Ronaldo del cambio casacca è il senatore Luigi Compagna. Con i suoi nove passaggi ha numeri da Champions. Ma va aperta una postilla a suo favore. Compagna, passando da fiore a fiore, ha sempre orbitato nel gruppo misto. Quindi occhio a definirlo il re dei “voltagabbana”. 
Nelle statistiche, poi, finiscono anche gli “inevitabili”. Come Giorgia Meloni e i deputati di Fratelli d’Italia. Iscritti d’ufficio al Misto all’inizio della legislatura, hanno poi ottenuto una deroga dalla Camera per formare il proprio Gruppo. Parliamo, inoltre, dei “migranti di scopo”. È il caso della “Federazione della Libertà”, alla quale hanno aderito Gaetano Quagliariello, Cinzia Bonfrisco e altri, con l’obiettivo di fare massa critica al Senato in vista del voto (arriverà mai?) sulla nuova legge elettorale. Nel blocco “indecisi” vanno inseriti Sandro Bondi e Manuela Repetti. Che, dopo il clamoroso addio a Berlusconi, hanno mollato anche Ala, passando al Misto. Ed ecco i “grillini in fuga”. In totale 39. Quelli che hanno rotto l’argine dell’alternativa al sistema e si sono accasati chi in Forza Italia (Labriola), chi nel Pd (Tacconi e Currò), chi in Mdp (Zaccagnini). 
C’è quindi la corrente dei “latinos”. Quelli che ballano la bachata. Un passo avanti e uno indietro. È il caso di D’Alì, Schifani, Giorgetti, Palese, Minardo, Di Girolamo, che avevano scelto il Nuovo centrodestra (o Fitto), tornando successivamente in Forza Italia. 
L’irrompere di Matteo Renzi nel corso della legislatura ha prodotto spinte uguali e contrarie. C’è chi ne è rimasto conquistato (Migliore, Di Salvo, Romano ed altri) e chi l’ha mandato a quel paese, sbattendo la porta: Bersani, Fassina, D’Attore, Speranza e via dicendo. Così anche il gruppo del Pd è un bel puzzle. Frutto, alla Camera, di 25 innesti e 33 addii. 
E i “damascati”? Quelli, cioè, che sono stati folgorati sulla via di Damasco. Parliamone: c’è il caso di Maria Tindara Gullo e Francantonio Genovese, che hanno mollato i democratici per iscriversi a Forza Italia. Motivo: erano finiti sotto inchiesta e il loro partito non gli aveva dato solidarietà, così loro hanno scelto gli azzurri. Veri garantisti. L’ultima categoria è quella dei “Benvenuti al Nord”. Formata da deputati meridionali che hanno creduto nell’espansione della Lega oltre la linea gotica. È successo con la campana Pina Castiello e il siciliano Alessandro Pagano, passati da Forza Italia a Noi con Salvini. Il secondo, in precedenza, aveva anche fatto un pit-stop nel Nuovo Centrodestra.