Herald Tribune, 20 dicembre 1959
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L’Iran in bilico tra russi e americani
WASHINGTON – L’Iran, dove giunsi dall’India, offre parecchi motivi di riflessione a un americano. Si può quindi saggiare comne un Paese limitrofo dell’Unione Sovietica si possa preservare dall’essere per così dire preso nella sua orbita. La nostra risosta, elaborata nell’era Acheson-Dulles, consiste nel formare un esercito iraniano, nel promuovere l’alleanza militare con la Turchia e col Pakistan, nel dare aiuti finanziari, economici e morali al Governo dello Scià.
I dati dei nostri aiuti sono noti e non è un segreto che abbiamo in Iran una missione militare di novecento uomini tra ufficiali e truppa, destinati all’adestramento delle forze iraniane. Abbiamo inoltre un vasto programma di aiuti civili, e colmiamo nel bilancio iraniano un deficit che si aggira sul 20 per cento.
Un ospite americano si sente dire – a noi lo disse lo Scià stesso – che gli Stati Uniti non fanno abbastanza, che trattano male l’Iran. Si lamenta che mentre l’Iran si è schierato interamente con noi, e non professa il neutralismo nella guerra fredda, noi tuttavia aiutiamo neutralisti com Nehru e Tito. Tali aiuti, secondo lo Scià, dovrebbero andare all’Iran e ad altri Paesi che fiancheggiano gli Stati Uniti.
Dato che è realmente impossibile soddisfare i desideri dello Scià, mentre è più probabile una riduzione che un aumento dei nostri aiuti, la questione è di saperese ciò significhi che l’Iran verrà spinto nell’orbita sovietica. Non si può rispondere con certezza, ma la cosa è possibile. In qual modo?
Parlando con lo Scià, che è informatissimo, non tardai a comprendere che egli non si fa un’idea ingenua dell’Unione Svoietica. Egli non pensa che l’esercito rosso debba invadere l’Iran, sa bene che un’aggressione patente di tal genere scatenerebbe ritorsioni atomiche e quindi una guerra mondiale; si rende conto che, se mai i sovietici volessero scatenare una guerra mondiale, non comincerebbero da un teatro secondario come l’Iran. Sa anche che, nell’era dei missili e delle truppe paracadutate e aerotrasportate, l’idea di guarnire una difesa lineare appartiene all’età della pietra. È cosa importantissima, poché la teoria ufficiale dei nostri aiuti militari e della alleanza con la Turchia e col Pakistan vuole che le forze terrestri, che sono costosissime, abbiano il compito di resistere all’esercito rosso: un’idea ereditata dalla seconda guerra mondiale.
Lo Scià, che è giovane e di idee moderne, dice schiettamente che la minaccia militare sull’Iran non è sulla frontiera sovietica, bensì sulle altre due, quelle con l’Iraq a ovest e con l’Afghanistan ad est. «Io non credo che ci si debba preoccupare gran che di quei pochi aeroplani russi dati all’Afghanistan, che è una base assai poco adatta». Ma il pericolo è reale e non immaginario dal lato dell’Iraq. Il pericolo non consiste in un’invasione vera e propria, bensì nelle infiltrazioni e incursioni.
Il partito Tudeh, cioè quello dei comunisti iraniani, è vietato e soppresso, ma continua ad agire, sottomano, da Baghdad. Inoltre i curdi, che vivono sui due lati della frontiera tra Iran e Iraq, sono scontenti e non dànno affidamento di essere sostegno sicuro del Governo dello Scià.
In conclusione, il nodo del problema iraniano è la stabilità e continuità di questo. La dinastia, fondata dal padre dello Scià nel 1926, ha una storia agitata. Il regime attuale data da sei anni appena, da quando lo Scià ritornò, dopo che fu domato Mossadeq. Lo Scià si dice fiducioso nella saldezza del suo Governo, ma è difficile scansare l’impressione che il regime è vulnerabile. Nonostante gli sforzi coraggiosi del sovrano, il Paese non sta compatto dietro il Governo.
Il grande pilastro del regime è l’esercito, che è indispensabile per mantenere il regime e capace di abbatterlo. Ecco il gran motivo per cui ci si preoccupa dell’esercito, e si insiste per renderlo sempre più forte, con armamenti sempre migliori. Gli ufficiali formano una casta privilegiata e bisogna sviluppare l’esercito per assicurarne la promozione. Si fa di tutto per soddisfare gli ufficiali con vantaggi marginali, come ad esempio automobili a prezzo di favore e privilegi doganali. Il nostro aiuto militare all’ Iran non è effettivamente rivolto all’esterno, ma alonnterno. Non è strategico o tattico; bensì politico e sociale. Ma se codesto è il miglior mezzo di aiutare l’ Iran, rimane da vedere se sarà in, avvenire la via.migliore, e fino a quando riuscirà efficace.
Su tale sfondo possiamo comprendere meglio la vera natura della politica sovietica verso l’ Iran. Essa adotterà, come al solito, la carota e il bastone. Il bastone più grosso è la propaganda per mezzo della radio, diffusa da stazioni dell’Unione Sovietica e dei suoi satelliti dell’Europa Orientale. La forza di quella propaganda, mi ha detto un iraniano simpatizzante con Mossadeq, non è il marxismo ma la nota scandalistica. Si direbbe che le informazioni provengano dal seno stesso del Governo iraniano, citando casi di corruzione o favoritismo, con nomi e cifre. Senza dubbio tale propaganda ottiene un effetto di disturbo, minando la fiducia del pubblico.
La carota, invece, viene propinata in privato, attraverso i canali diplomatici. Il ministro degli Esteri iraniano, conversando una sera con me, mi disse che, proprio quella mattina, aveva ricevuto una delle numerose visite dell’ambasciatore sovietico. Nel corso di un colloquio senza formalità l’ambasciatore aveva detto, ancora una volta, che l’Iran si troverebbe assai meglio seguendo l’esempio dell’Egitto e adottando una politica di non solidarietà con l’Occidènte. «Perché disse l’ambasciatore – non prendere aiuti da tutt’e due le parti? Prendete da noi armi, e fatevi aiutare così come facciamo per l’Egitto ad Assuan, per lo sviluppo delle vostre risorse. Fatevi pure aiutare anche dagli americani. Però dovreste mandare via la loro missione militare. Se accettate i nostri aiuti, ne avrete anche di più e non di meno dagli americani, i quali vorranno farci la concorrenza. Noi non invaderemo l’Iran, e non occorre che voi vi comportiate come se temeste l’invasione. Se volessimo attaccarvi, abbiamo abbondanza di missili».
Trovai interessante che il ministro degli Esteri volesse riferirmi quella conversazione. Sarebbe poi sciocco supporre che l’argomentazione sovietica non sia formidabile, in un Paese che si sente malsicuro ed è affamato di aiuti economici dall’estero.