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 1956  giugno 25 Lunedì calendario

La nomenklatura sovietica s’inchina allo Scià di Persia

MOSCA – Oggi, per la prima volta, la folla moscovita ha applaudito un re: lo Scià di Persia è  arrivato nella capitale del  comunismo. Il suo arrivo nell’Urss segna il culmine della «  politica musulmana» che i Russi stanno svolgendo con grande impegno. Basti dire che il principe ereditario dello Yemen è partito da Mosca appena  stamane, dopo un lungo  soggiorno nell’Unione Sovietica; e  Scepilov sta compiendo una tour  negli Stati Arabi. I  seguaci di Marx corteggiano i  seguaci di Maometto. I rivoluzionari comunisti  della prima ora non  immaginavano certo che l’Urss avrebbe accolto un monarca con tanti onori. La verità è che Mosca segue ormai, più che una  politica ideologica, la politica di grande Potenza. Oggi, lo Scià è stato accolto solennemente, come si addice a una testa  coronata. Il suo aeroplano, un  bimotore sovietico, è apparso nel cielo della capitale alle sei  meno dieci, con una scorta  imponente di dodici caccia a  reazione. Quattro Mig,  perfettamente allineati, facevano da  battistrada; gli altri otto si  tenevano ai fianchi dell’aeroplano reale. Nessun altro ospite finora aveva ricevuto il riguardo della scorta aerea. Pochi  istanti dopo l’apparecchio che  trasportava gli ospiti si è posato sulla pista. La banda militare ha intonato una marcia.  Voroscilov con la consorte,  Bulganin, Mikoyan, Pervukin, si sono fatti incontro allo Scià, che  indossava una uniforme azzurra. Lo accompagnava Soraya,  l’imperatrice, in un abito rosa, con un cappellino ornato di fiori. Alcuni bimbi in divisa da  pionieri son corsi a offrire loro mazzi di fiori; la banda ha poi eseguito gli inni nazionali  dell’Iran e dell’Urss. Il reparto d’onore splendeva nelle  uniformi grigiazzurre e rosse; i  diplomatici occidentali erano  tutti in tight, col cilindro, e al momento della presentazione facevano inchini, le loro mogli facevano riverenze. L’aeroporto offriva uno spettacolo solenne e marziale, da ancien régime; solo gli abiti da passeggio dei governanti sovietici (Voroscilov era in blu con un cappello di paglia) e degli ambasciatori che rappresentano le democrazie popolari erano i segni superstiti dello spirito  rivoluzionario. Dopo le sfilate a passo di  parata, è venuto il momento dei discorsi. Voroscilov ha  cominciato il suo dando il benvenuto a «sua maestà» e alla  augusta consorte. Neanche lui  immaginava, forse, di dover un giorno usare tali titoli, quando ancora combatteva con Lenin contro l’Armata imperiale. Egli ha oggi affermato l’intenzione dell’Unione Sovietica di  svolgere una politica «pacifica  attiva», mantenendo buoni  rapporti con tutti gli Stati, e  specie con i suoi vicini. Le sue  dichiarazioni sono state tradotte in persiano. Lo Scià ha  risposto con voce lenta, ieratica. Ha ringraziato «sua eccellenza» Voroscilov per l’accoglienza  cordiale, e ha affermato che l’Iran desidera relazioni amichevoli con l’Urss fondate sul  reciproco rispetto.
Infine lo Scià e Voroscilov  sono saliti su una vettura aperta per attraversare le vie  cittadine che si erano riempite di  folla. Il seguito ha preso posto su vetture chiuse, tranne  Bulganin e i colleghi. I moscoviti hanno applaudito di buon  animo. La loro esistenza, con un così nutrito afflusso di illustri visitatori che si succedono  senza posa, è decisamente meno monotona e più divertente che ai tempi di Stalin. La coppia reale abiterà, come si conviene ai monarchi, in  appartamenti speciali del  Cremlino, situati alla sinistra delle porte Borovitzki: quelle stesse attraverso le quali Napoleone aveva fatto il suo ingresso  solenne nella cittadella. Gli  appartamenti hanno ricevuto per l’occasione un nuovo  arredamento; modernissime vasche da bagno vi sono state installate. I rapporti con l’Urss non sono sempre stati idillici. I due Stati hanno avuto per il  passato frequenti attriti.  L’Arzebaijan. che appartiene per metà all’Unione Sovietica e per metà alla Persia, fu sempre ragione di reciproci sospetti. La  situazione era parsa migliorare negli ultimi anni, fino al giorno in cui non fu stipulato il patto di Bagdad. L’alleanza militare fra Pakistan, Iran, Iraq, Turchia e Gran Bretagna suscitò a  Mosca una reazione violenta. L’ Urss comincio subito un’azione tenace e insistente per minare l’alleanza, e per  arginarla. Sulla Persia esercitò pressioni costanti, inviando  numerose note diplomatiche.  Nello stesso tempo usò blandizie e allettamenti. Mosca agisce contro il patto di Bagdad cercando anche  l’amicizia dei Paesi arabi, ancora neutrali. Scepilov, diventato  ministro degli Esteri meno di un mese addietro, compie la sua grande tournée nell’Egitto, in Siria, nel Libano, e pronuncia contro l’alleanza di Bagdad  discorsi violenti e animosi. Quel che appare strano, in tutta questa vicenda, è  l’avvicinamento fra marxismo e Islam. Sarebbe difficile immaginare due aspetti di vita, due  strutture sociali più diverse. Non è un mistero che il Governo  comunista ha enormemente  limitato la sfera di azione della  religione musulmana fra le sue popolazioni dell’Asia centrale. I musulmani sovietici non hanno certo ragione di essere soddisfatti di Marx. Ma quelli stranieri sono accolti con  infiniti riguardi. L’Iran può  vantare ambizioni di modernità. Ma lo Yemen è ancora fedelissimo alle vecchie tradizioni, il suo principe ereditario è arrivato a Mosca in vestimenti esotici e pittoreschi. I suoi ospiti si sono ben guardati dal definire  «reazionario» il regime del suo Paese.