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 1951  maggio 01 Martedì calendario

La Siria, il petrolio e gli oleodotti

Viaggio insieme a cinque popolani arabi, da Beirut a Damasco. Il conducente è molto interessato ai divertenti discorsi – a giudicare dal ridere che tutti fanno – dei suoi compatrioti. Lo vedo togliere le mani dal volante, a cento chilometri all’ora, per dar forza alle sue parole: è un gesticolatore irrefrenabile; lo vedo giocherellare, dimenarsi, aprire e chiudere la radio, e ciò nonostante scansare con meravigliosa perizia i cavallini spauriti che attraversano la strada al galoppo, le pecore, i cani dei pastori, e i pastori medesimi, sugli asini senza briglie. Quattr’ore di viaggio così attraverso il Libano e l’Anti-Libano fresco, verde e lucente. Poi, alla frontiera, la Siria, che si presenta qual è, coi suoi minuziosi doganieri, i suoi noiosi poliziotti, i suoi tre o quattro posti di blocco e di controllo, le sue caserme.
Altro Paese: in Siria dominano i militari; la Siria è nazionalista e xenofoba forse più di qualsiasi altro Stato arabo. Sul mio passaporto c’era un visto per Israele. Per ottenere il permesso di entrare nei Paesi della Lega Araba dovetti tirarci un frego e scriverci su «annullato» al cospetto del console del Libano a Roma. Meno male, ma non bastò: alla frontiera siriana eccepirono, e per il solo fatto che quel «visto» di Israele c’era, sul mio passaporto, benché annullato, mi dissero che non potevano farmi entrare. Le trattative durarono a lungo, e mi salvò il corriere diplomatico italiano tra Beirut e Amman, De Maria. De Maria parla perfettamente l’arabo e riuscì a convincere il poliziotto a telefonare alla Direzione di polizia, che autorizzò il passaggio. Un’ora, una Long Island nel mondo arabo
A Damasco, le insegne sono tutte scritte coi caratteri arabi; rare le traduzioni. Non vi si pubblica un solo giornale in lingua inglese o francese. Anche i quadranti degli orologi pubblici portano segni arabi. La più antica città del mondo è, a confronto di Beirut, più araba, più musulmana, e insieme più europea. Nel senso che a Beirut l’occidentale e l’orientale si confondono, si penetrano, mentre a Damasco la parte europea della città sta a sè, divisa dal resto. La capitale della Siria aspira a diventare la capitale di tutti i Paesi arabi, se un giorno si riuniranno. Il posto le è conteso dal Cairo, che in effetti esercita oggi una influenza decisiva su tutto il mondo islamico. Damasco è pure la capitale dei colpi di Stato. Non c’è regime politico al mondo (forse quello di talune Repubbliche sudamericane) più mutevole, più instabile del siriano. Dietro qualsiasi Putsch striano, almeno degli ultimi dieci anni, bisogna vederci il retroscena petrolifero.
Orient Palace, a Damasco. Qualche Americana in attesa del marito viaggiante tra un pozzo e una raffineria; alcuni ministri ed alte personalità siriani (non c’è luogo al mondo in cui ci si trovi con «alte personalità» a contatto di gomito con tanta frequenza come nel Medio Oriente); due povere donne francesi di mezza età, che tra uno sbadiglio e l’altro, tra una sigaretta e l’altra, offerta da qualche altolocato indigeno, suonano musichette da cinematografo della periferia ai tempi del muto. Immagine della Francia in Siria, dopo che gli Inglesi sono riusciti a estrometternela. Un membro del partito populista – ch’è un partito socialista dirigista, nazionalista, autarchico – mi racconta il retroscena del Putsch siriano fondamentale nel quadro della lotta impegnata nel Medio Oriente tra Inglesi e Americani per assicurarsi il controllo del petrolio.
Gli Americani sfruttano i ricchissimi giacimenti dell’Arabia Saudita, dell’isola di Bahrein, nel Golfo Persico, e di Kuwait; gli Inglesi quelli dell’ Iraq e dell’ Iran: queste le zone d’influenza, come sono attualmente ripartite. Gli Americani, però, avevano la difficoltà dei trasporti da risolvere: navicisterna o pipe-lines? Lo Stato maggiore terrestre americano avrebbe preferito la prima soluzione, ma la Marina impose la seconda. Pipe-lines significava anche vigilanza militare delle vie di comunicazione e su tutti i territori di passaggio delle condutture; significava anche la necessità di accordarsi con gli Inglesi, i quali controllavano tutte le vie possibili di uscita delle pipe-lines nel Mediterraneo. Nel 1947 Inglesi e Americani decisero di formare una compagnia per la costruzione simultanea di due pipe-lines: una per il petrolio anglo-iraniano, l’altra per la produzione americano-saudita. Gli Americani avrebbero fornito i materiali da costruzione necessari, al di fuori degli aiuti Marshall.
Tuttavia, gli Inglesi, che adoperavano i tre quarti del Marshall per costruire raffinerie e navicisterna, e perciò per fare la concorrenza petrolifera ai benefattori, vedevano, con la costruzione delle pipe-lines, capovolgersi la loro situazione di privilegio nel campo dei trasporti. Era stato opportuno dire di sì agli Americani, ma dovevano, ora, gli Inglesi sabotare la costruzione degli oleodotti. Sta di fatto che ogni qualvolta le autorità americane erano sul punto di concludere un accordo con le autorità d’un Paese arabo per il passaggio o lo sbocco della pipe-line, un avvenimento imprevisto sopravveniva a rovesciare le cose: tassa sull’esportazione dei carburanti in Egitto, guerra di Palestina, ecc. Infine, tutto sembrava volgere al meglio, per gli Americani: era tornata la calma in Palestina; il Libano, bisognoso di sussidi, s’era sentito dire da Ibn Saud che qualsiasi aiuto sarebbe stato condizionato alla firma d’un accordo per la pipe-fine; in Siria, il Governo di Azem aveva non soltanto acconsentito ad autorizzare il passaggio della pipe-line, ma sembrava deciso a collaborare intimamente con gli Stati Uniti. A questo punto il colpo di Stato del colonnello Housni Zaim rimise tutto in questione. Zaim era stato condotto al potere dagli Inglesi, per parare la minaccia delle concessioni che Azem si dimostrava disposto a fare agli Americani. Ma Housni Zaim, installato al potere, ben presto voltò faccia: e invece di aiutare gli Inglesi ad attuare il loro progetto per la «Grande Siria» e la Mezzaluna fertile, s’intese coi nemici del gruppo hascemita, cioè con Faruk d’Egitto e con Ibn Saud d’Arabia, azionista della compagnia americana Aramco (Arabian-American Company); inoltre, egli invitò il generale turco Orbay, che gode le simpatie degli ambienti militari americani, a riorganizzare l’esercito siriano. Era lo scrollamento dei piani britannici concernenti la Siria.
Ma non è senza ragione che si dice: l’ombra di Lawrence continua a proiettarsi nel Medio Oriente. Complotto militare: Housni Zaim e il Primo ministro Mohsen Barazi furono catturati da un gruppo di ufficiali, e giustiziati. «Perché avevano tradito gli interessi nazionali», proclamarono i nuovi governanti della Siria. La lirasterlina guadagnò un punto sul dollaro; in novanta minuti la situazione si volse di nuovo in favore degli Inglesi, ma, scrisse un giornale turco, dopo il delitto, che probabilmente i successori di Housni Zaim e di Mohsen Barazi avrebbero subito la stessa loro sorte. Difatti il colonnello Hinnaoui, che aveva tirato personalmente su Zaim e gli era succeduto al potere, fu eliminato da un terzo colpo di Stato (incruento), che portò al suo posto il colonnello Scisciakly.
1951: la pipe-line Bahrein-Sidone, dell’Aramco, attraversa la Siria Un punto a favore del dollaro. Con tutto questo, che cosa pensi e che cosa voglia veramente il Governo siriano resta sempre problematico. Dico all’autorevole membro del partito populista; «Voi, naturalmente, se potete avere delle preferenze, sono per l’America, non è vero?». E lui: «Noi siamo per la Siria. Gli Americani invadono di merci i Paesi del Medio Oriente e mettono in difficoltà le nostre industrie. Noi vogliamo favorire l’industrializzazione del nostro Passe e invece gli Americani vogliono valorizzarne soltanto le risorse agricole. Gli Americani hanno aiutato la industrializzazione dello Stato d’Israele, con l’intenzione di creare un cuneo nei Paesi arabi e di costituirvi un centro economico aggressivo. Noi non vogliamo saperne dello Stato d’Israele, perché ne conosciamo il pericolo economico per i Paesi arabi. Vogliamo, in Siria, dazi protettivi e industria nazionale: e riforme sociali». Gli faccio osservare che io ho notato, nonostante la generale xenofobia, una certa preferenza, una maggior simpatia per gli Americani, tra la gente del popolo. «Conoscete – mi dice – quest’aneddoto? La moglie del funzionario francese andava personalmente al mercato e contrattava fino al centesimo di franco. La moglie del funzionario inglese manda il boy, che contratta a scellini. La moglie del funzionario americano non va al suk, non ci manda il boy, ma telefona, ordina e paga il conto a vista».
Sostanzialmente il fervido e inconsulto nazionalismo siriano non consente accordi sicuri e durevoli con l’Occidente. I Siriani continuano a ingrossare l’esercito, sfruttando ora i favori di questa, ora le necessità di quell’altra Potenza straniera, e quando né l’una né l’altra si dimostrano pronte a concedere, fanno squillare il campanello d’allarme sovietico. (Del resto, quest’atteggiamento ricattatorio è molto diffuso nei Paesi arabi.) Approfittando della disorganizzazione del Paese e del malcontento cronico della popolazione, gli anti-occidentali, se pure non comunisti, prendono il sopravvento e preferiscono un’alleanza con la Russia piuttosto che con gli Occidentali
Il ministro della Difesa nazionale (l’esercito è di circa 20 mila uomini) può essere considerato l’individuo più rappresentativo, molto popolare tra i giovani e gli «intellettuali». Ostenta vedute di estrema sinistra, sebbene neghi di essere legato coi comunisti. Pare che sia stato l’istigatore del terzo colpo di Stato (è fratello del colonnello Scisciakly); è anche il suggeritore, dietro le quinte, delle manifestazioni filosovietiche dei ministri siriani nei congressi della Lega araba. Dunque, ogni giorno, in Siria, può essere quello buono per un mutamento di regime e per un nuovo colpo di Stato, promosso dai clans militari tra loro rivali. I più attivi nell’eliminare gli avversari si sono finora dimostrati i comandanti della brigata che combattè contro gli Israeliani. Tutti e tre i colpi di Stato di cui ho parlato sono stati difatti compiuti dai comandanti di quella brigata. Gli intrighi seducono i Siriani; e lotta per il potere si fa tanto più aspra quanto più una permanenza al potere apre la prospettiva dell’arricchimento.
Quattro ingredienti entrano nella vita del più irrequieto dei Paesi arabi: il nazionalismo, gli interessi petroliferi, la concorrenza fra gli Anglo-Americani, la forza di penetrazione sovietica. Cuocete al fuoco delle grandi illusioni create negli Arabi dal conflitto internazionale e dite se una pietanza di questo genere può digerirsela un povero stomaco europeo.