Corriere della Sera, 20 agosto 1947
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Gli americani e la penisola arabica
Se la Turchia fosse divisa da contrasti politici, cadesse in miseria e poi fosse invasa, Iran, Iraq, Arabia Saudita sarebbero travolti nella stessa rovina e la porta del Medio Oriente s’aprirebbe alla Russia senza troppe difficoltà. «Allora, addio petrolio – dicono gli Americani. – Aiutiamo dunque la Turchia a sopportare il peso delle spese militari, a sviluppare la sua economia, a darle credito, chè per il resto si salva da sè». Infatti la bilancia commerciale è attiva, mentre il guaio sta appunto nelle spese militari. Gli Americani han già dato, sotto vari titoli, aiuti per quaranta milioni di dollari, han dato per la legge «affitti e prestiti» materiale bellico per novanta milioni di dollari: ecco, ora, i cento milioni della legge Truman. Ma basteranno? I Turchi già rispondono: no. E han chiesto un prestito di quattrocento milioni di dollari. Certo, se il piano disegnato dalla missione americana e dallo Stato maggiore turco dovrà essere puntualmente eseguito, i cento milioni della legge Truman e gli stanziamenti ordinari e straordinari del bilancio sono poca cosa. Nessuno dubita però, come ho detto altra volta, che l’America terrà in piedi, con o senza il piano Marshall, e renderà più efficiente, l’apparato economico e militare della Turchia appunto per la singolare posizione geografica di questo Paese. Gli interessi americani nel Medio Oriente sono diventati enormi. Solamente nell’Arabia Saudita potranno essere estratti venti miliardi di barili di petrolio; e si sa che gli Americani hanno ottenuto da Ibn Saud una concessione valevole fino al 1999. Per capire l’importanza della concessione basta un solo particolare: Ibn Saud e i suoi discendenti incasseranno ventitré centesimi di dollaro per ogni barile di petrolio; incasseranno così, per venti miliardi di barili, qualche cosa come cinque miliardi di dollari. Intanto, l’Arabia Saudita, sicura che l’America la proteggerà da ogni malanno e soddisfatta dall’afflusso di una cosi grande quantità di denaro, pensa di costruire strade, acquedotti e nuove città. La catena della collaborazione con l’America s’allunga, poiché gruppi industriali e finanziari americani saranno chiamati a costruire appunto le strade, gli acquedotti e le città. Gli inglesi temono di essere esclusi dal grosso banchetto e cercano di raccogliere almeno le briciole: cosi una missione militare britannica è andata nell’Arabia Saudita per curare l’istruzione dell’Esercito.
Ibn Saud. che è un uomo avveduto e fantasioso, sta organizzando lo sviluppo delle città vicine alle zone petrolifere e sta studiando il progetto di costruzione d’un oleodotto da Daharan fino a Riad, capitale del Neged. Un gruppo d’ingegneri americani, giunto sul finire dell’anno scorso, ne studia per suo conto il progetto e il finanziamento. Una società americana ha poi inviato nell’Arabia Saudita suoi tecnici per intraprendere la costruzione a Gedda di una stazione radio-trasmittente e ricevente, la cui direzione sarà affidata per qualche anno agli stessi Americani in nome del Governo saudita. Saranno anche istituite linee aeree.
Gli Americani spingono la loro azione anche verso lo Yemen. È noto che una missione sovietica dovrà recarsi in quel Paese ancora un po’ misterioso per fare indagini sulla veridicità di certi rapporti che affermano l’esistenza nel sottosuolo yemenita d’immense ricchezze: oro, argento, petrolio. La Russia vuole avere nello Yemen un’influenza economica, e pare che l’Iman Yaya, temendo di cadere nella soggezione d’una sola grande Potenza, voglia seguire appunto quella stessa politica che gli consigliò a suo tempo di stringere una buona amicizia con l’Italia per bilanciare l’amicizia britannica; così che sembra possibile ch’egli conceda alla Russia per lo meno gli stessi privilegi che concederà agli Stati Uniti.
Intanto è stato conchiuso un accordo tra Siria e Libano per il diritto di transito attraverso i due Paesi del grande oleodotto che congiungerà le concessioni petrolifere americane nell’Arabia Saudita col Mediterraneo. L’oleodotto sboccherà in un punto della riva del Libano meridionale. È probabile che una raffineria venga costruita nel Libano. Anche in Siria, poi, una missione americana sta eseguendo esplorazioni per la ricerca del petrolio. Insomma, la penisola arabica sta diventando un vasto campo di manovre economico-finanziarie, politiche e militari. Diventerà domani un campo di battaglia? La cosiddetta Lega araba potrà diventare efficiente tanto da poter dire una parola decisiva in un futuro conflitto d’armi? Egitto, Iraq, Siria, Libano, Transgiordania, Arabia Saudita e Yemen quale forza potrebbero opporre a chi tentasse di violare e ridurre a zero la loro indipendenza? Intanto la Russia cerca di impedire la formazione d’un blocco arabo antisovietico, promosso e protetto dagli Stati Uniti, che a loro volta non vogliono mai che un solo barile di petrolio vada perduto o distratto a beneficio altrui.
La Turchia sente l’estrema singolarità della sua posizione e non vorrebbe mai diventare protagonista di blocchi e d’alleanze. Ma poiché non ha la forza sufficiente per conservare il diritto di scelta o almeno un indifferente contegno, sollecitando la solidarietà anglosassone e l’amicizia del Paesi arabi cerca di essere riservata, cauta, per non suscitare tempestose reazioni da parte sovietica e balcanica. In occasione della visita ad Ankara, qualche tempo fa, dell’Emiro di Transgiordanla, i Turchi dimostrarono appunto la loro saggezza. L’Emiro si lasciò andare nei suoi discorsi a dichiarazioni un po’ fantastiche non solamente sul tema dell’unione degli Stati arabi ma anche sul tema dell’unione degli Stati islamici. I Turchi restarono riservati, freddi. Essi, del resto, non hanno una grande stima degli Arabi, che conoscono per la lunga coabitazione nell’Impero ottomano; ma specialmente temono che un’iniziativa come quella dell’Emiro di Transgiordania possa provocare chi sa quali complicazioni accrescendo infine il peso della loro situazione di faccia alla Russia. Amicizia sì, ma non più che amicizia. I tempi sono pericolosi, non si sa mai ciò che accadrà oggi o domani. Però, anche i più avveduti politici degli Stati arabi giudicano scomoda la propria situazione, e cercano di trarre vantaggi dalla congiuntura senza pregiudicare l’avvenire. Il petrolio è una gran bella cosa, ma non è anche una maledizione se porta con sè l’intrigo e la lotta per la sua conquista?