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 1946  maggio 16 Giovedì calendario

Curdi e Azeri, sobillati dai russi, muovono su Teheran

Teheran, maggio. È dunque vero? Le truppe sovietiche hanno sgomberato la Persia, ma l’URSS  adopera i Curdi e i Turchi  dell’Azerbaijan contro il  Governo di Teheran e contro  l’Esercito dello Scià? L’ora della pace non fu mai  tanto lontana dall’ Iran come oggi. Uscendo dal palazzo di Gulistan dove dimora lo Scià, e avviandosi verso la sua ambasciata, che è in  collina, verso l’Elbruz, un  addetto americano ricordava il tono canzonatorio col quale il segretario di Stato al  dipartimento degli Interni  degli Stati Uniti aveva  profetizzato la situazione che ora si profila. Harold Ickes, che è anche alto commissario per i carburanti, aveva detto, un po’ prima della fine della guerra: «Indicatemi quali  saranno le linee dell’accordo al quale perverranno le Nazioni Unite a proposito del petrolio. e io vi preciserò la durata della prossima guerra».
La guerra che si profila all’rizzonte, in questi giorni molto foschi per la Persia, non è dichiaratamente quella del petrolio. E l’URSS è ufficialmente paga di avere determinato l’Iran alla  revoca di Hussein Ala da  ambasciatore persiano a Washington, alla convocazione elettoralc per il Megilis, fissata al primo del prossimo agosto, all’arresto di 27 capi del  partito della «volontà  iraniana» e alla defenestrazione del generale Ahmcdi.  L’accordo seguito comprendeva una. autonomia «completa», nel quadro dello Stato iranico, accordata dalla Persia  all’Azerbaijan. Il quale dovrà  avere, tra l’altro, un esercito proprio, che tuttavia non  supererà i centomila uomini. La Persia fu inoltre  impegnata a firmare convenzioni  economiche e culturali, sia per quanto riguarda l’Armenia, sia per quanto riguarda  l’Azerbaijan.
Gli accordi con l’Azerbaijan non sono stati fin qui firmati per il semplice  motivo che nessun accordo ha  potuto essere raggiunto tra il Governo di Teheran e la  missione di Pjiscevari. Da  Tabris, autonoma, giungono  notizie di gravi agitazioni:  invece di centomila uomini,  l’esercito del nuovo Stato  autonomo pare che ne abbia  reclutato già circa un milione. I soldati attendono ordini nelle caserme appena  sgomberate dalle truppe  sovietiche; anzi le truppe  dell’Azerbaijan sarebbero già in  movimento, dirette all’antica  capitale, che intenderebbero  occupare.
Teheran vive le sue ore più brutte. Non ha fatto in  tempo a distendere i nervi dopo la tensione del marzo e  dell’aprile, che già il terrore  della guerra prende nuovamente alla gola i suoi abitanti,  specialmente i ricchi. I  commercianti facoltosi, i Khan, i  signori terrieri presi dal  panico, abbandonano la città  alta, dove hanno le loro  residenze camuffate all’europea, ma allestite all’interno col più schietto fasto orientale. Non si fermano a Schimra o a Sciraz, dove possiedono  ville, e non stimano nemmeno prudente riparare a Abadan, dove gli Inglesi controllano la loro zona petrolifera. Alla larga dal petrolio, così  infiammabile com’è : i ricchi persiani espatriano, evadono verso l’Egitto e la Siria.  Dall’unica strada che si spinge verso Bagdad sono passate quasi duemila famiglie. I  milionari, anzi i miliardari  filano verso l’esilio con le valige colme di rials, di dollari, di sterline e, perché no?, di rubli sovietici.
Alla Banca nazionale dell’Iran il tesoro della Corona, che era appena stato rimesso nelle casseforti, viene di nuovo reimballato, pronto ad  essere trasportato verso  destinazione ignota. Si tratta di un corrusco torrente di  gemme incastonate in tiare,  sciabole, scatole, pugnali, per non parlare di anelli e di collane. Diamanti grossi come uova di piccione sono vicini alle più belle turchesi del mondo, estratte dalle miniere dello Scià.
La folla della città bassa sente questi preparativi, vede i signori che scappano,  sogghigna e si consola nella  certezza che qualunque cosa  accada, peggio di cosi non  potrà stare. Nella città alta,  moderna, le donne iraniane  osservano le leggi di Reza  Pahlavi, vestono all’europea,  assistono nei cinema a  proiezioni russe od americane: gli stessi operai indigeni  circolano in blusa ed in berretto come gli operai di qualunque città occidentale. Giù, nella città antica, la Persia è  ancora la Persia che non si è  venduta né convertita né  contaminata con l’Occidente. Giù non ci sono palazzi sontuosi da boulevard parigino e automobili rombanti, ma case senza finestre fuori e senza mobili dentro, e «arabagis» a due ruote; e invece delle eleganze cosmopolite, il velo della tradizione, il  panno che le donne hanno  messo sul volto, come un tempo. Il popolo è vestito di cenci, si nutre di immutabile fame, aspetta che i giorni passino trascinando crisi economiche e ministeriali. Il popolo fino a ieri non sapeva se sarebbe diventato russo o inglese. Quando gli dissero ch’era  rimasto persiano si mise a  leggere il giornale di Firuz: un giornale dal titolo che si può tradurre, press’a poco. Tem pesta. La guerra, che ora rientra nel Paese proprio  dalle porte dell’Azerbaijan,  ridà fiato al partito nazionale il quale insorge contro il  vecchio capo del Governo, che è un fiero gladiatore. Ghavam, sovietizzante, è uomo dai cento volti: ha conosciuto la  prigione, l’esilio e a settant’anni, la gioia del potere. È calvo ed è ricco. La sua calvizie merita di essere ricordata perché egli ha l’abitudine di  coprirla accuratamente con una densa e scura vernice, ogni mattina rinnovata. Col capo verniciato egli si presentò a Stalin, recentemente, per  concordare alcuni atti del  Governo dello Scià. La sua ricchezza va del pari ricordata perché gli frutta una rendita annua di 500 mila sterline. Con questa ricchezza egli  potè sostenere e far eleggere i candidati del partito Tudeh in tutta la zona del Caspio, acquistandosi così la  benevolenza di Stalin. Ed ora? Il partito  nazionale domanda ragione al  vecchio Primo ministro della  situazione in cui tale  benevolenza avrebbe posto irreparabilmente l’ Iran. Ghavam ha due speranze. La prima, che non sia vero che Tabriz  abbia deciso la guerra come  dicono i profughi terrorizzati che. dal Nord vengono a  rifugiarsi a Teheran. La  seconda, che le truppe in marcia da Tabriz possano essere  fermate dall’annuncio che le trattative tra lui, Ghavam, e Pjiscevari sono riprese. Purché Pjiscevari voglia  riprenderle.