Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  maggio 03 Mercoledì calendario

Troppi disoccupati tra i cinquantenni?

Durante la festa del 1° maggio si sono sentite le solite cose, dette da cantanti diversi da quelli degli anni scorsi, però nei discorsi più o meno uguali, grida per far sapere che, data la disoccupazione, quella dell’altro ieri è stata piuttosto la «festa del non lavoro», «...i giovani lottano perché il precariato non sia una condizione immutabile...», «...il lavoro qualcuno ce lo deve pur dare...» eccetera eccetera.  

Non le è piaciuto.
Rivorrei i sindacati sul palco. A questo modo è la festa non più del lavoro, ma delle banalità più ingannevoli, dei concetti più risaputi, si contrabbanda l’idea che da qualche parte ci sia qualcuno che i poveri giovani non li vuole far lavorare, mentre i poveri giovani in lacrime invocano disperati di essere assunti. Intanto quattro milioni e passa di posti di lavoro, teoricamente disponibili anche se precari, sono occupati da stranieri. Eccetera eccetera. Il mondo è molto complesso, e andare a ballare a San Giovanni è consolatorio, e ascoltare quelle scemenze dai chitarristi è tranquillizzante. Invece il mondo è molto più complicato di quello che viene descritto nella piazza romana di San Giovanni, come ci conferma ancora l’Istat con i dati di ieri.  

Sentiamo.
A marzo risulta che sono aumentati in modo consistente i disoccupati con più di cinquant’anni. L’Istat parla di «aumento boom». Le persone con più di cinquant’anni in cerca di lavoro nel marzo 2017 erano 567 mila, 59 mila in più rispetto a febbraio 2017 e 103 mila in più nel confronto anno su anno, cioè marzo 2017 paragonato al marzo 2016. Scrive l’Istat: «Il numero di disoccupati in questa fascia di età è ai massimi dall’inizio delle serie storiche (2004) e supera quello dei disoccupati tra i 15 e i 24 anni (524.000). Il tasso di disoccupazione è al 6,7%, il dato più alto da novembre 2014 (6,9% a marzo quello nella fascia tra i 50 e i 64 anni)». Risulterebbero cioè più disoccupati maturi (oltre i 50) che disoccupati giovani (fascia 15-24). Incredibile.  

Che dicono le altre percentuali?
A marzo 2017 la stima degli occupati è sostanzialmente stabile rispetto a quella di febbraio, con il tasso di occupazione che si conferma al 57,6%. L’Istituto nazionale di statistica segnala che a crescere è il numero dei lavoratori dipendenti (+63 mila), di quelli permanenti (+41 mila) e di quelli a termine (+22 mila), mentre calano gli indipendenti (-70 mila). Nel primo trimestre, rileva ancora l’istituto, si registra una crescita degli occupati rispetto ai tre mesi precedenti (+0,2%, pari a +35 mila). Tale aumento si accompagna a un calo dei disoccupati (-1,2%, pari a -38 mila) e degli inattivi (-0,2%, pari a -32 mila). Gli inattivi sarebbero quelli che il lavoro non lo cercano proprio. Siccome sono diminuiti (-0,1%), è diminuita anche la disoccupazione. Il che sembrerebbe significare che alla fine se uno il lavoro lo cerca con un minimo di caparbietà, senza aspettare che gli caschi in bocca, prima o poi lo trova.  

Come si spiega la disoccupazione dei cinquantenni?
L’Istat per ora non la spiega. Noi potremmo immaginare che questa potrebbe essere la prima avvisaglia di quello che i futurologi prevedono per i prossimi decenni: l’automazione ridurrà drasticamente i posti di lavoro, senza crearne di nuovi, a differenza di quello che è successo con le innovazioni del passato; i primi a essere colpiti saranno i lavoratori con gli stipendi più alti, cioè quelli maturi, perché l’ammortamento di un robot è molto meno costoso di uno stipendio che continua a crescere mentre il rendimento del soggetto tende in genere a calare; saranno poi anche colpiti i lavoratori meno inclini alla tecnologia, come, appunto, i maturi, che sono abituati a procedere in un certo modo e sapranno adattarsi male alle novità. Ecco ciò che potrebbe signficare il dato di marzo 2017, che, se queste deduzioni fossero vere, potrebbe trasformarsi in una data storica. Ma c’è un ma.  

Quale «ma»? I numeri e le percentuali non si discutono.
Appunto. Nella precedente rilevazione - 9 gennaio 1917 - l’Istat, con i suoi numeri e le sue percentuali, indusse il Corriere della Sera a stampare un titolo in cui si annunciava il ritorno degli over 50, «l’ex segmento debole del mercato del lavoro». Dario Di Vico scriveva: «Nel periodo che va da novembre ‘15 allo stesso mese del ‘16 gli occupati con 50 anni e più sono cresciuti di 453 mila unità ovvero del 6%. Va ricordato come nello stesso periodo gli occupati di tutti gli altri segmenti anagrafici al contrario siano scesi: di sole 5 mila unità nella fascia tra 15-24 anni, di 88 mila posti in quella 25-34 e di ben 160 mila nella fascia 35-49 anni». I dati e le percentuali dello scorso 9 gennaio erano tanto più credibili perché confermavano una tendenza che gli istituti di ricerca avevano certificato in tutto il mondo: la crescita e la prevalenza dei maturi, anzi degli over 65, che secondo il più recente rapporto delle Nazioni Unite (luglio 2016) saliranno dai 901 milioni attuali (12% della popolazione) a 1 miliardo e 400 mila nel 2030, e a 2,1 miliardi nel 2050. Gli studiosi descrivono questi vecchi come attivissimi, pronti a riciclarsi, spendaccioni e decisivi nelle dinamiche di mercato, le quali, spiegavano gli esperti dell’anno scorso, si accingono a conformarsi alla grey economy
(economia dei capelli grigi), dato che saranno i gusti e i capricci di questi moribondi a dominare la domanda, e non più i giovani. Lei mi chiederà: a chi dobbiamo dar retta, all’Istat di ieri o a quella del 9 gennaio o magari all’Onu? Le risponderò come sempre in questi casi: le statistiche sono una bella cosa, ma non c’è da fidarsi troppo.