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 2017  aprile 27 Giovedì calendario

Arte di strada. Intervista a Fabio Quagliarella

BOGLIASCO Fabio Quagliarella è l’uomo dei gol impossibili, ma l’acrobazia più difficile della sua vita l’ha fatta fuori dal campo. Perseguitato da uno stalker – rivelatosi poi essere un suo amico – ha resistito 8 anni a un’esistenza drammaticamente scissa: da un lato il calcio ai massimi livelli; dall’altro le false accuse, le minacce, la paura per sé e la famiglia, un sogno di bambino spezzato, le incomprensioni con i tifosi e con la sua città. «È stato come un film, ma purtroppo era realtà». Che è finita a febbraio con la condanna del colpevole, Raffaele Piccolo, a 4 anni e 8 mesi di reclusione. E anche se c’è il rischio di prescrizione, oggi al centravanti non importa: «Non cercavo vendetta, ma solo la possibilità di dimostrare la mia verità. Figurarsi, un poliziotto stalker... Sarebbe sembrata solo una scusa, o un’invenzione...».
Com’è iniziata?
«Ero a Udine nel 2008: mi arriva una busta, dentro ci sono finte pagine web in cui si dice che vado con ragazze minorenni, mi drogo, frequento camorristi».
La reazione?
«Penso: lo scherzo di un cretino».
Ma non lo è.
«Già. E quando passo al Napoli nel 2009 la faccenda diventa un incubo: si arriva persino a minacce di morte a me e alla mia famiglia».
E qui entra in scena Piccolo. Come?
«Era un agente della polizia postale presentatomi tempo prima da un amico, successivamente sua vittima anche lui. Avevo subito un hackeraggio del telefono, Piccolo aveva risolto il problema ed eravamo restati in contatto».
Così chiede aiuto a lui.
«Chi meglio di un amico della polizia postale? Infatti mi assicura che risolverà tutto. Mi dice di non parlare con nessuno; finge di prendere le impronte digitali sulle lettere; mi fa stilare denunce che, scoprirò poi, sono fasulle».
Nel frattempo i dirigenti del Napoli le dicono che è meglio lasciare Castellammare per andare in albergo...
«E io non capisco. Vivo a casa mia coi miei, sto benissimo, in campo non ci sono problemi. Perché? Capirò in seguito: le lettere infamanti erano arrivate anche al club, che ha deciso di intervenire. Ma non gliene faccio una colpa. In questa storia l’unico colpevole è lo stalker».
E pensare che il Napoli era il suo sogno.
«Da bimbo andavo al San Paolo con papà, ho visto ore e ore di videocassette su Maradona, quella maglia era tutto. I napoletani mi avevano accolto come un re: canzoni come “Quagliarella bum bum” e “Quagliarella è bell...” le ascolto tuttora con le mie nipotine».
Invece il Napoli decide di cederla alla Juve e l’idolo diventa il grande traditore.
«Già. E non potere spiegare la verità era devastante. Immagini un po’: da una parte lo stalker, dall’altra una città contro... Quando tornavo a Castellammare dovevo camuffarmi. Li capisco, era il cuore che li guidava. Ma mantenere la calma era dura: a volte giocavo solo col corpo, la testa era altrove».
Poi un giorno lo stalker sbaglia mossa.
«Dice a mio papà che anche a lui è arrivato un messaggio anonimo. Papà gli chiede di mostrarglielo e lui dice che l’ha cancellato. Ma come, pensa papà, a noi dici di tenerli e tu lo cancelli... Papà, che già qualcosa sospettava, fa denuncia alla polizia di Castellammare. Così scopriamo che non c’è alcuna indagine in corso e la situazione si chiarisce: alla fine le vittime sono una ventina, compreso il mio avvocato».
Papà Vittorio è stato decisivo.
«Sicuro. Viene dalla strada, ha fatto duemila lavori, è un passo avanti a tutti... Pensi che per incastrarlo faceva da solo le registrazioni col microfono sotto la camicia per portarle al pm...».
Poi arriva lei che racconta tutto in lacrime alla tv dopo Samp-Cagliari il 19 febbraio.
«Lacrime di felicità. Ho sfogato la rabbia per il tradimento di una persona che non voglio neanche chiamare uomo».
Ma possibile che tutto questo si spieghi solo con la follia?
«E come spiegare sennò una persona, lui pure con famiglia, che decide di rovinare la vita agli altri? Il nostro rapporto era buono, a volte gli davo magliette e biglietti. Ma lui voleva di più. Tenermi in pugno lo faceva sentire forte».
Che consiglio dà a chi subisce stalking?
«Denunciate subito, senza paura. Nessuno può permettersi di rovinarti la vita».
Dopo sono arrivate le scuse della sua città...
«Dello striscione esposto durante Napoli-Crotone (Nell’inferno in cui hai vissuto... enorme dignità. Ci riabbracceremo Fabio figlio di questa città, ndr ) ho fatto un poster. Conosco la mia gente: col cuore mi hanno chiamato traditore, col cuore mi hanno riaccolto quando hanno conosciuto la verità».
Resta il rimpianto di non essere rimasto a Napoli.
«Sognavo di starci per sempre, diventare capitano, vincere... A volte gioco a Sliding Doors e mi rivedo in idoli amati come Hamsik o Insigne...».
Ma un futuro al Napoli per lei è ancora possibile?
«Alla Samp sto da favola, ho fatto il capitano e ho tifosi magnifici che hanno capito il senso profondo delle mie dichiarazioni su Napoli. Poi so che a 34 anni è difficile. Ma con la mia gente è come se avessi vinto uno scudetto, e mi basta».
Scudetti ne ha vinti anche in campo, dove è indiscusso maestro nell’estrarre dal nulla gol belli e impossibili. Dove nasce quest’arte?
«È la scuola della strada, dove stavo a giocare 12 ore al giorno da bambino... Lì ho imparato il mio calcio istintivo senza troppi pensieri, perché se pensi troppo rischi di sbagliare, ma anche a rapportarmi con gli altri e a tirar fuori la grinta. Quella scuola mi è servita in questi brutti anni ma anche quando a 13 anni sono andato a Torino per cominciare la mia avventura».
Ha detto di avere segnato meno di quanto avrebbe dovuto...
«È così. Ma poi penso che è meglio essere ricordato per la bellezza dei tuoi gol che per il numero. I gol semplici io non me li ricordo».
Come vede il suo futuro dopo il ritiro?
«Mi piacerebbe insegnare calcio ai giovani».
Primi consigli agli attaccanti?
«Usare entrambi i piedi e parlare con i portieri: io lo faccio tantissimo, voglio capire cosa si aspettano da me e così preparo le mie mosse. E poi dirò loro che anzitutto conta la testa: perdersi nel calcio è un attimo».
Lei come ha fatto a non perdersi?
«A volte l’essere umano trova forze che non sa di avere. A me le hanno date la famiglia e la passione per il calcio. E ora posso finalmente vivere una nuova vita».