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 2017  aprile 01 Sabato calendario

Il cronista Boldini racconta la Belle Époque

Particolari capaci di raccontare una storia, sguardi rivelatori e mise indimenticabili: non si può che lasciarsi sedurre dalla pittura di Giovanni Boldini, visitando gli spazi del Vittoriano a Roma. 150 dipinti che tracciano un percorso esaustivo del ferrarese, dagli esordi fino alla fine di una lunga vita fortunata, passando per gli anni della gloria parigina. Ed è impressionante notare come, in questi decenni di carriera, muore quasi novantenne nel 1931, il desiderio trainante dell’artista resti sempre lo stesso: lasciare emergere sulla tela la personalità degli uomini e delle donne ritratti attraverso un ambiente, un particolare, un segno distintivo. Fin dall’inizio quando, da Ferrara arriva a Firenze: sono gli anni della «macchia», della traduzione su tela dell’osservazione naturalistica e Boldini partecipa a questo clima di rinnovamento.
In quel momento Firenze è frequentata da artisti e intellettuali stranieri e insieme a Telemaco Signorini e Cristiano Banti, Boldini comprende bene la necessità di innovare, ma il suo interesse evidente, anche attraverso la scomposizione della luce e dell’ombra resta la possibilità di esprimere le peculiarità dell’animo umano. In mostra c’è per esempio il ritratto Diego Martelli, il critico, l’artista, il punto di riferimento dei macchiaioli ed è lui al centro della scena, con lo sguardo intenso e fermo, la stufa sullo sfondo e poche pennellate dello stesso tono, ispirato ai colori della natura autunnale, ma è indubitabilmente la presenza umana ad interessare Boldini, presto infatti conquistato dalla città moderna per antonomasia, che gli avrebbe potuto offrire il più grande numero di incontri e suggestioni, Parigi.
Dopo un primo viaggio nel 1867, affascinato dalla città in trasformazione, sceglie di trasferircisi definitivamente 4 anni più tardi: una scelta importante, che in breve tempo lo trasformerà in uno degli artisti più ricercati e pagati di Europa. La grande capacità di lavorare incessantemente, da mattina fino a sera tardi, unita all’abilità nell’intrecciare relazioni proficue, hanno presto messo l’artista italiano al centro della scena artistica più competitiva d’Europa. Tutto ciò è infatti tanto più notevole se si pensa che quelli erano gli anni del trionfo impressionista, che Boldini osserva da vicino, senza farsi però troppo influenzare. Non c’è dubbio che l’osservazione en plein air e la scomposizione della pennellata suggeriranno dei cambiamenti a Boldini che resta però soprattutto fedele a se stesso. Diventa in modo particolare amico per esempio di Degas, non a caso il meno impressionista degli impressionisti, del quale in mostra c’è un bel ritratto.
Ma sono soprattutto le donne le sue amiche più strette, le sue muse, il soggetto privilegiato della sua pittura. A cominciare dalla contessa de Rasty, sua amante per diversi anni, che vediamo in un vestito lungo pronta per uscire, ma anche sdraiata a letto immersa in un bianco a pastello, in una posa languida. Sarà proprio Gabrielle de Rasty ad introdurlo nel bel mondo parigino, nei salotti più ambiti. E queste nuove relazioni, precedute dal lavoro del mercante Goupil, sin dall’inizio del trasferimento parigino attento alla sua pittura, portarono Boldini verso lo straordinario successo che ebbe. Talento e carisma fecero il resto: decisamente poco attraente e di bassa statura, Boldini fu capace di conquistare le più belle donne d’Europa e di ritrarle con incredibile maestria. Riusciva a far sentire ogni dama la più bella, un suo ritratto era allo stesso tempo uno status symbol e un lasciapassare verso l’eternità. Sfilano davanti ai nostri pochi, in ritratti dalle campiture attente, e poi sempre più veloci, con pennellate simili a «sciabolate», donne distese sul bagnasciuga con vestito lungo cappello e ombrellino, in un trionfo di grigio azzurro, (Madame Helleu sulla spiaggia), donne incorniciate di profilo, a far risaltare un filo di perle o il collo di un vestito sontuoso, o ancora, una tenda rossa sullo sfondo in uno dei quadri più belli della mostra (La tenda rossa). E poi ci sono tele leggendarie come quella commissionata nel 1901 da Ignazio Florio, erede di una delle famiglie siciliane più importanti, che sceglie proprio Boldini per ritrarre sua moglie Franca. Ma il risultato non piace al committente, troppo sensuale, con una scollatura poco consona alla dama che veniva definita la «Regina di Sicilia». L’artista dipinge così una seconda versione che questa volta viene accettata da Florio, finalmente pagata e esposta alla Biennale di Venezia nel 1903, ma poi scompare nel nulla. Fortunatamente per noi, Donna Franca non aveva dimenticato la prima versione del ritratto, e chiede al pittore di terminarla: è quella che vediamo esposta al Vittoriano. Un quadro magnifico, oggi al centro di una controversia giudiziaria, tanto che potrebbe non essere più esposto in pubblico per diversi anni.