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 2017  marzo 29 Mercoledì calendario

Plagio accademico, nei Paesi civili i politici si dimettono

Nel resto del mondo, i politici smascherati dai giornali ad aver copiato le tesi, soprattutto di dottorato, di solito si dimettono e le università aprono inchieste interne sul plagio per tutelare la propria reputazione. In Italia, invece, per ora, non succede nulla.
Nel 2011, in Germania, lo scandalo travolse il barone Karl-Theodor Zu Guttenberg, allora ministro della Difesa del governo Merkel: fu accusato di aver copiato senza citare né virgolettare quasi metà della sua tesi di dottorato. La Süddeutsche Zeitung rivelò per primo che alcuni passaggi risultavano copiati, ma fu l’inchiesta interna aperta dalla stessa università (di Bayreuth) dove si era dottorato, a far emergere il resto delle pagine copiate. La prima reazione di Guttenberg fu di incredulità e il rifiuto in blocco delle accuse.
“Come quasi sempre accade, chi commette plagio finisce per perdere il controllo e la memoria dell’estensione delle citazioni indebite che ha usato”, spiega al Fatto Gerhard Dannemann, professore di Legge presso il Centro di Studi britannici di Berlino, che ha contribuito insieme ad altri accademici del gruppo VroniPlag Wiki a stanare molti politici tedeschi (finora 16, inclusi quelli locali) che hanno copiato nella loro tesi di dottorato. Angela Merkel difese Guttenberg sostenendo che “aveva nominato un ministro, non un accademico”. Una frase che non fece altro che creare maggiore indignazione nell’opinione pubblica. E che costrinse Guttenberg alle dimissioni.
Anche Annette Schavan, ministro dell’Istruzione e della ricerca tedesco nel 2013 fu accusata di aver commesso plagio nella sua tesi di dottorato. Si vide revocare il titolo dalla Heinrich Heine University di Düsseldorf e decise di rassegnare le dimissioni come ministro. Bruno Bleckmann, che ha presieduto la commissione dell’Università di Düsseldorf sul caso Schavan, dichiarò che il ministro si era appropriato “sistematicamente e deliberatamente” di risultati intellettuali che in realtà erano di proprietà di altri.
Stessa storia per Pal Schmitt, presidente della Repubblica ungherese dal 2010 al 2012, quando fu costretto a rassegnare le dimissioni per le stesse ragioni. In quell’anno, la rivista Hungarian HVG rivelò che una parte consistente della sua tesi di dottorato in educazione fisica, conseguito nel 1992 alla Semmelweis University di Budapest, era stata copiata. Anche la Semmelweis ritenne di dover aprire subito un’inchiesta interna per verificare tali accuse, nonostante fossero passati 20 anni dalla cerimonia di laurea di Schmitt. L’inchiesta portò alla revoca del titolo di dottorato e alle dimissioni da primo ministro. Lo scandalo aveva diviso l’opinione pubblica. Nello tesso anno, Victor Ponta, primo ministro della Romania dal 2012 al 2015, subì la stessa trafila. L’Università di Bucarest, dove aveva conseguito il titolo, concluse dopo un’inchiesta interna che era il caso di ritirarlo. Ma Ponta liquidò la questione come un “attacco politico” e si rifiutò di dare le dimissioni da premier.
Negli Stati Uniti John Walsh, senatore del Partito democratico nel 2014 è stato accusato dal New York Times di aver copiato tre quarti di un report di ricerca di 20 pagine quando era alla Us Army War College nel 2007. Lo scandalo lo travolse nel bel mezzo della campagna per la sua rielezione. Fu costretto a ritirarsi immediatamente.
Pure in Iran sono molte le tesi di dottorato di accademici e politici che si sono rivelate copiate. Nel 2013, un gruppo di attivisti contro il regime scoprì che lo era anche quella di Hassan Rouhani, presidente dell’Iran dal 2013. Rouhani aveva conseguito il titolo di dottorato in legge negli anni 90 all’Università di Glasgow, in Scozia, con la tesi intitolata “La flessibilità della Sharia nell’esperienza iraniana”. Una commissione accademica esaminò il caso e ne concluse che c’erano due passaggi (su 500 pagine) identici a un libro di un autore afghano, Mohamad Hashem Kamali, presidente dell’Istituto Internazionale di Studi Islamici Avanzati nel Regno Unito. Secondo i media internazionali che riportarono il caso, successivamente l’università dichiarò che il caso non era mai stato messo sotto inchiesta e che nella tesi i due passaggi erano citati correttamente sia nel testo che in bibliografia.
Le accuse di plagio non hanno risparmiato neanche Vladimir Putin, presidente della Russia. Nel 2006, i ricercatori della Brookings di Washington lo hanno accusato di aver copiato 16 su 20 pagine della sua tesi in Economia da un documento pubblicato dalla University of Pittsburgh 20 anni prima. Clifford G. Gaddy di Brookings dichiarò che si trattava di plagio: “Lo è anche quando si copia al college, figuriamoci in una tesi formale. Non ci sono scuse, si tratta di plagio.”
Vladimir Putin, come il presidente dell’Iran Rouhani e il presidente (nel 2012) della Romania Ponta, non si è dimesso e non ha mai ammesso il plagio.