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 2017  marzo 29 Mercoledì calendario

Il custode del paese fantasma: «Io non mi muovo da qui, il mondo viene a cercarmi»

Sono arrivati anche quelli di National Geographic per fare un servizio su di lui come su certe specie in via d’estinzione. Gli scrivono dalla Germania e dall’Olanda. Da ogni parte d’Italia. Saluti, baci e abbracci: «Torneremo presto!». Gli hanno mandato cento cravatte. Sette pipe. Dei salami.
Il signor Vincenzo Tronchetti da Lagonegro, proprio ieri, ha lasciato scritta questa dedica: «Tranne Trunfio Giuseppe, qui non c’è niente. Questo è il bello!».
Giuseppe Trunfio è l’ultimo abitante di Roscigno Vecchia, un piccolo borgo antico sulle montagne del parco del Cilento, in Campania. In realtà è una specie di custode della memoria. Qui dove qualsiasi altro Paese avrebbe già inaugurato un museo, un set cinematografico e una mostra permanente, adesso ci sono dei ruderi che cadono a pezzi e questo signore folcloristico che replica se stesso. La cravatta, la pipa: «Prego, venite, vi faccio vedere». La sua casa con l’impianto elettrico del 1950, una grande manopola beige che ancora gira e, assicura, «funziona perfettamente». Perché ha capito che vivere nel suo vecchio paese disabitato poteva diventare un mestiere. È l’unico residente dal 2001. «Prima di tornare qui, dove è nata la mia famiglia di contadini, sono stato un emigrante. Era la primavera del 1963 quando sono partito per andare a fare l’aiuto carpentiere in Lombardia. Poi spaccapietre in Svizzera. Servizio militare a Como, due anni nella Finanza, trent’anni da operaio edile in giro per il Nord Italia, durante i quali ho fatto tre figli, che ora vivono sparsi per il mondo. Sono tornato quando non avevo proprio più nessun impiego».
Era nato come un borgo di pastori e greggi in transumanza. Roscigno Vecchia deve il suo nome agli usignoli che ancora cantano fra i tigli, l’acero e i castagni che risalgono la vallata fino al Passo della Sentinella. Ma essendo alla confluenza fra il torrente Ripiti e il fiume Calore, non è mai stato facile vivere qui. La signora Anna Roberto compirà novant’anni il 16 aprile, ne aveva dodici quando i suoi genitori annunciarono il trasferimento al paese nuovo. «C’erano frane tremende e fango. Mettevamo le briglie, ma il terreno scantonava sempre. A me non importava perché ero giovane, ma ricordo la tristezza e i tormenti degli anziani. Negli anni ci siamo trasferiti tutti tranne pochi residenti».
Del signor Luigi Passerella dicevano che era strano, che non si adattava a nulla. Rimase con i suoi pensieri irregolari, lì dov’era nato, fino alla morte. Della signora Dorina Alessandro dicevano anche peggio: «La cacciarono dal convento dove voleva farsi suora. Era una donna fatta a modo suo, in realtà bravissima. Ha fatto la contadina, ed ha vissuto a Roscigno Vecchia fino alla fine dei suoi giorni». Il terzo abitante, l’ultimo, è l’emigrante Giuseppe Trunfio ritornato a casa. «Questo è il vero paese, non l’altro», dice a tutti.
È successo qualcosa di inaspettato. È stata un po’ la leggenda del borgo fantasma animato da chissà quali creature, e molto la bellezza di questa piazza vuota riconquistata dall’erba. Il passaparola ha iniziato a richiamare turisti. L’anfiteatro di Paestum è a 50 chilometri da qui, Salerno all’orizzonte, ma ci vuole più di un’ora d’auto perché la strada è quella che è. Eppure ogni giorno dell’anno qualcuno arriva fin quassù. Forse, più che altro per sentire il silenzio e abitare il passato.
Il custode con la pipa e la cravatta sta seduto vicino al pozzo, accoglie i nuovi arrivati: «Qui facevamo il grano, il vino era dolce. Ecco il vecchio bar Roma, quello era il tabacchino». I turisti americani sgranano gli occhi di pura meraviglia.
Il paese vecchio sta rinascendo seppur nell’abbandono, quello nuovo soffre come tutti i borghi italiani. Sono partiti in tanti. Dei 1200 residenti ne sono rimasti 550. Il bilancio del 2016 è impietoso: 54 morti e 2 nati. E tutti ti raccontano della casa di riposo costruita a metà e mai inaugurata. Del Bar Iris che ha chiuso, come il negozio del fotografo e la piccola rivendita di mobili. Della famiglia più famosa di Roscigno: «Quella del senatore Maurizio Gasparri».
Ma la ricchezza del paese nuovo potrebbe essere proprio il paese vecchio. Negli Anni Ottanta era stato definito addirittura la «Pompei del Novecento». Ma tutti i buoni propositi sono sfioriti per lasciare spazio alle piante rampicanti, alle piogge che fanno marcire i legni e aprono nuovi squarci nei vecchi tetti delle case antiche. «Dovrebbero farne qualcosa di bellissimo», dice la signora Veronica Trimarco venuta qui a curiosare. «Chissà i francesi cosa avrebbero saputo fare di un gioiello come questo».
L’unico che ne ha capito le potenzialità è il solo residente Giuseppe Trunfio. Gli chiedono di farsi fotografare vicino ai peperoncini secchi che tiene appesi nella sua cucina. Gli chiedono di mostrare la foto dell’ultima nevicata dell’inverno del 2005. Arrivano tre ragazzi con gli occhi da esploratori. Sono studenti dell’Università di Stoccolma, facoltà di Legge. «Che posto incredibile», dice Evelyn Kachaye. «Ma è vero?».
È l’Italia originale, rimasta identica dai tempi della Seconda guerra mondiale. Canti d’uccelli, odore di legna che arde nel camino dell’unica casa illuminata. «Mi scrivono da tutte le parti per ringraziarmi. Hanno esposto le mie foto in Cina. Guardate questa cartolina da Amsterdam. Non mi manca niente. Non cambierei la mia casa di due stanze con nessun’altra. Amo definirmi così: unico abitante libero abusivo e speciale di Roscigno Vecchia. Sono qui da solo, non lo discuto. Ma il mondo intero gira intorno a me».