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 2017  marzo 27 Lunedì calendario

Superga, tela e gomma in marcia. Ora in America e presto in Cina

Secondo l’attuale proprietario del marchio, Marco Boglione, è tutta colpa dei camionisti. Sarebbe bello che fosse così: se anche non è andata precisamente in questo modo, la storia è verosimile e affascinante. Tutto nasce dalla pignoleria dell’ingegner Walter Martiny, un imprenditore di origine svizzera che a fine Ottocento aveva impiantato a Torino una fabbrica per la vulcanizzazione della gomma. «In quel periodo – racconta Boglione – il metodo della vulcanizzazione era una novità in America e in Europa. Si era scoperto che la gomma era modellabile e resistente, come sarebbe avvenuto diversi decenni dopo per la plastica». L’antenata delle materie plastiche che ci avrebbero invaso la vita, veniva utilizzata nei modi più svariati. Ebbero grande successo gli stivali di gomma: risolsero problemi gravi, come le infezioni ai piedi di chi lavorava nei campi, perennemente a contatto con l’umidità della terra. C’erano anche usi più ludici: chi è stato bambino negli anni Sessanta ricorda ancora i canotti arancione della Pirelli, con la pompa blu incorporata. Il successo della gomma aveva fatto la fortuna dell’ingegner Martiny. «Che era un grande ingegnere ma non un grande comunicatore», ricorda Boglione. Aveva infatti chiamato la sua fabbrica di «anelli pieni per autocarri, calzature vulcanizzate in gomma e tela, sovrascarpe, stivali, pantofole, tubi di gomma», con un nome privo di possibilità di essere facilmente ricordato: «Società anonima industrie riunite industria gomma Torino Walter Martiny». Un acronimo impossibile, da marziani: «Sairigtwm». L’ingegnere non si preoccupava della pubblicità. Non era il suo campo. Aveva una moglie inglese e con lei viveva a Torino. La signora si era portata in Italia le abitudini del suo popolo e tra queste il nobile giuoco del tennis, come si chiamava all’epoca. Sport in quel tempo per ricchi, costretti a praticarlo con scarpe dalla suola di corda che, inevitabilmente, erano destinate a sostituzione forzosa dopo quattro, cinque partite. Così all’ingegnere era venuta l’idea di applicare la sua esperienza industriale alla vita familiare e di regalare alla signora un tipo nuovo di scarpa: resistente perché aveva la suola in gomma e leggera perché aveva il corpo in tela. Era il 1923: «Quel giorno – dice Boglione con una certa solennità – nacque la prima scarpa da tennis del mondo». L’antenata di Adidas, Nike, Lotto è dunque italiana ed ebbe un successo immediato. La produzione salì alle stelle e la fabbrica torinese divenne meta di bilici, carri e primordiali camion che portavano in giro per l’Italia una calzatura ormai destinata a un pubblico ben più vasto dei ristretti circoli della racchetta. «Credo siano stati proprio i camionisti a cominciare a identificare la fabbrica, che sorgeva lungo il Po, ai piedi della collina di Torino, come ‘la fabbrica di Superga’, perché da quello stabilimento partiva la strada che arrivava alla basilica». Ecco spiegata l’origine quasi leggendaria di un marchio che per molta parte del Novecento è stato identificato con il prodotto. «Ancora negli anni Settanta mia madre identificava le Superga con le scarpe da tennis e chiamava Superga ogni tipo di scarpa da ginnastica», ricorda Boglione. Oggi Superga è uno dei prodotti del made in Italy. Da dieci anni Basic Net, la società di Boglione, è diventata proprietaria del marchio. Gli antichi stabilimenti torinesi non ci sono più. Già prima dell’arrivo di Basic Net la produzione era stata decentrata, una parte è finita in VietNam. Ma la scarpa di tela blu con la suola di gomma bianca è un’icona dell’italian stile. «Sta al mondo delle calzature come la dieta mediterranea sta alla cucina», spiega Boglione. Ai tempi del primo successo e fino agli inizi degli anni Settanta la fabbrica torinese, nel frattempo spostata di un chilometro rispetto alla originaria, sfornava un numero impressionante di scarpe da ginnastica. In Italia aveva praticamente il monopolio. Nel 1975 la produzione aveva toccato i 12 milioni di paia. In sostanza ogni anno un italiano su cinque ne comperava uno. Di lì a poco la concorrenza si è fatta agguerrita: prima i francesi della Adidas, poi gli americani di Nike si sono mangiati una fetta di mercato. Tra il 1993 e il 2004 il marchio è gestito dal gruppo Sopaf che investe sul brand ma non riesce a sostenerlo dal punto di vista industriale. Il gruppo Basic Net arriva nel 2007. «Oggi vendiamo le Superga in 100 mercati del mondo e ne produciamo 5 milioni», spiega Boglione. Che si sta prendendo alcune soddisfazioni sulla Nike proprio in casa sua: «Negli Stati Uniti – racconta – siamo cresciuti nell’ultimo anno del 30 per cento. È uno dei mercati che, dopo molti tentativi di penetrazione, oggi ci sta dando finalmente soddisfazione». Superga non è più solo una scarpa da tennis, è soprattutto una calzatura da tempo libero. «Semplice ed ecologica come la caprese», scherza Boglione tornando al paragone culinario. Il target sono i giovani, soprattutto le ragazze. «Un prodotto venduto in tutto il mondo che sa di Italia. Perché per molto tempo i ragazzi italiani in giro per il globo li distinguevi dallo zaino Invicta (altro marchio torinese) e dalle Superga ai piedi. Il nostro obiettivo è quello di arrivare a 120 mercati, quella che viene considerata la copertura globale». Soprattutto, si tratta di penetrare in paesi dalle grandi potenzialità, come la Cina: «Stiamo incontrando qualche difficoltà come all’inizio ci era capitato negli Usa», spiega il presidente di Basic Net, fiducioso che in futuro si apriranno anche le porte di Pechino. Insieme a Superga, il gruppo di Boglione controlla Robe di Kappa, Jesus e K-Way e può permettersi una rete di distribuzione globale di tutto rispetto. Il futuro delle prime scarpe da tennis del mondo è nel terzo cambio di personalità: non più solo calzature per lo sport, non più solo scarpe per il tempo libero ma anche scarpe invernali. «Sarà un salto impegnativo – dice Boglione – ma ci servirà ad allargare il nostro pubblico. Non possiamo vivere solo di giovani durante la bella stagione. Dobbiamo catturare anche i non più giovanissimi e farlo d’inverno». Dopo quasi cent’anni la scarpa da tennis più antica del mondo cambierà ancora pelle. Ma manterrà le sue due caratteristiche principali: essere pratica e resistente. «Un po’ come la maglieria Kappa», dice Boglione. E racconta che negli anni tra le due guerre il maglificio torinese aveva creato quel nome per far dimenticare ai clienti una partita fallata: «Avevano timbrato le calze con la lettera K per dare l’idea che fossero state controllate da una società tedesca che avrebbe poi timbrato con l’iniziale di ‘kontroll’». Un colpo d’astuzia. Ma questa è un’altra storia.