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 2017  marzo 27 Lunedì calendario

Jeroen Dijsselbloem, l’olandese parlante: dal master alle offese, una gaffe dopo l’altra

AMSTERDAM – Ovunque c’è chi sa far carriera mostrandosi più realista del re. Anche quando il re ideale è l’ortodossia monetaria targata Bundesbank. E ovunque puoi trovare chi si mostra più bravo di tutti sia nell´incarnare pregi quanto difetti del suo Paese, sia nel passare con disinvoltura da una scelta all´altra, da attacchi vitriolici ad altri Vip alla disponibilità improvvisa e totale a lavorare ai loro ordini quando vengono promossi al massimo livello. Noi europei del sud siamo maestri in queste arti trasformiste, eppure il nostro eroe non è cresciuto a Palermo né ad Atene né a Lisbona. Benvenuto come protagonista di queste righe, compagno Jeroen Rene´Victor Anton Dijsselbloem, cittadino olandese, socialdemocratico da sempre, presidente riconfermato dell’Eurogruppo. Benvenuto compagno Jeroen, complimenti per una vita di carriera costruita nell´ombra, lontano dalle luci della ribalta, ma qua e là con frecciate velenose ad altri. Senza mai scusarsi o rettificarsi: via, come nella vecchia Prima repubblica italiana, mantenere la poltrona fa piacere, la continuità del potere “non olet”, non puzza come non puzza nel vecchio proverbio latino la “Pecunia”. Benvenuto, compagno, e scommettiamo che riuscirai a rialzarti anche da quest’ultimo scivolone sui Paesi che spendono tutto in donne e alcol. Dire “sono stato frainteso” ed escludere scuse è una tattica che può funzionare nel mondo libero, quasi come funzionava nei piani alti dell´Impero del Male sovietico nei decenni della guerra fredda. Presidente dell’Eurogruppo riconfermato, solide posizioni politiche interne nel PvdA, il Partito del lavoro (laburisti, socialisti membri del Ps europeo) che ha convinto a governare insieme al premier liberale Mark Rutte, sì proprio quello che promettendo tolleranza zero coi migranti ma in modo civile ha sbarrato la strada ai nazionalpopulisti dell’amico di Marine Le Pen, l´arrabbiato Geerd Wilders, il compagno Dijsselbloem viene da lontano. A modo suo. Classe 1966, nato a Eindhoven, vita privata esemplare nella placida Wageningen dei suoi studi superiori con a fianco la partner Gerda, una figlia e un figlio, ha sempre saputo muoversi manovrando bene. Preciso come un marinaio olandese della gloriosa epoca imperiale, quando la flotta d´Orange conquistò l’Indonesia e convinse all’assimilazione la popolazione locale affrontando donne e bambini in rivolta per la fame con cariche alla baionetta. Un buon curriculum, ma cercare di migliorarlo non guasta per la carriera, almeno finché qualche maledetto media indipendente non ti scopre. Via, anche Willy Brandt, premio Nobel e cancelliere della pace, definiva Der Spiegel “quel foglio di merda” a ogni critica che incassava. Non ho menzionato Paesi quando ho detto che da socialdemocratico ritengo che nella solidarietà europea siano contemplati non solo diritti ma anche doveri, e che non si può spendere tutto per donne e alcol, si e´difeso nelle ultime ore il compagno Dijsselbloem di cui i governi dell ´Europa meridionale chiedono la testa. E cui persino democristiani tedeschi suggeriscono di scusarsi e fare marcia indietro. No, il compagno Jeroen lo esclude, “sono stato frainteso”. Dopo le elezioni olandesi, si sente con le spalle coperte. E si mostra certo anche dell’appoggio tedesco. Forse oltre misura, perché in Germania chi viene scoperto a sbagliare paga, e i conti col passato si fanno, a ogni livello. Non si nascondono brutti ricordi del passato sotto il tappeto, come in Paesi quali Austria o, sorry, anche Olanda. Un primo scivolone, il compagno Jeroen se lo regalò iscrivendo nel suo curriculum un master in business economics a Cork. Ricerche degli investigative reporter anglosassoni scoprirono che era una bugia, e lui si corresse come se nulla fosse. Disse il suo portavoce: “È un errore di traduzione, il suo master è quello conseguito all’università di Wageningen, Regno dei Paesi Bassi, a Cork fece solo un viaggio di studio”. Scusate la piccola differenza. È un errore, fece dire il compagno Jeroen senza definirlo “suo errore”, meno che mai menzogna. Senza scusarsi. La carriera continuò, nei ranghi della socialdemocrazia olandese, nell’Europarlamento, fino all’assunzione nel 2012 dell’incarico di ministro delle Finanze. Poi dopo le prime sconfitte elettorali del PvdA guidò il passaggio dalla tradizione di coalizioni di centrosinistra all’accordo col Vvd, i liberali-liberalconservatori di Rutte appunto. Dal 2013, il grande balzo in avanti: la presidenza dell´Eurogruppo, quale successore di Jean-Claude Juncker. Allora egli definì Juncker “fumatore e bevitore accanito”, poi quando Juncker divenne presidente della Commissione europea passò a toni più cauti. E così conquistò in seguito la riconferma alla guida dell´Eurogruppo, stracciando il concorrente Luis de Guindos, guarda caso spagnolo. Onore al merito: Dijsselbloem allora non definì il rivale Luis né bevitore né donnaiolo. Almeno non in pubblico. La fama di duro più del ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble, o del presidente della Bundesbank Jens Weidmann, il compagno Jeroen se la fece nei difficili negoziati con la Grecia e poi con Cipro su iperindebitamento e alternativa tra default e uscita dall´eurozona o impegni a sacrifici in cambio della permanenza nella moneta unica. Erano anni in cui predicava con certe parole e razzolava con altri termini e pratiche. Quando lo conobbi a una conferenza economica a Berlino, mi disse che “i milioni di senza lavoro, soprattutto giovani in Europa meridionale, aspettano una svolta fatta di politica per l’ccupazione e di riforme”. Disse anche che lo spaventava la situazione di quei paesi membri della Ue dove le imprese non riescono a ottenere crediti e quindi non possono n{ investire né assumere né spingere l´economia nazionale alla crescita. In quegli stessi anni, fu lui un ispiratore ancor più acceso dei leader tedeschi di una politica antikeynesiana di austerità e basta che la Grecia non ha ridotto il debito, in compenso ha aumentato di circa il 50 per cento la mortalità infantile. Adesso con quell´intervista alla Frankfurter Allgemeine, con quella frase su politici e paesi che spendono tutto in donne e alcol, il compagno Jeroen è inciampato nell’ultima buccia di banana. “Ma non ho menzionato alcun paese, parlavo di principi generali di solidarietà doverosi per un socialdemocratico, con la mia durezza calvinista olandese”, si è difeso. Vedremo nelle prossime ore: è sotto tiro ma non mostra alcuna intenzione di dimettersi. Specie dopo la sconfitta populista in Olanda, cacciare un alto esponente del Paese dagli alti piani Ue sembrerebbe del resto un regalo indiretto alle neodestre. Anche se l´interpretazione sudeuropea di quella sua frase su Bacco e Venere ha messo il turbo ai populisti sudeuropei e francesi. Auguri per il futuro, compagno Jeroen. E onore al merito, patriota coerente. Dopo il 1945 la Germania ha saputo riconoscere le sue colpe e riconciliarsi col mondo civile. Dalla prima elementare, i ragazzo tedeschi apprendono della Shoah e del nazismo. In Olanda è diverso: delle atrocità coloniali, dei 500mila civili indonesiani uccisi nella controguerriglia, contro la guerra d´indipendenza poi vinta dall’allora leader locale Sukarno, dei turboelica Fokker forniti alla giunta militare argentina che li usava per gettare vivi in mare gli oppositori, non si parla. Meglio ridere in talk-show, come faceva anche su canali privati tedeschi la soubrette Mareike Amado, parodiando l’Inno di Mameli a ritmo da tarantella. Oppure organizzare programmi di quiz per far vincere qualche euro ai migranti rifiutati in attesa di respingimento. Via, perchè scandalizzarsi per una piccola frase su alcol e donne? Dai, compagno Jeroen, aspettiamo la tua prossima esternazione.