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 2017  marzo 27 Lunedì calendario

La parabola di Confindustria: troppo "pubblico", i big in fuga. Sull’affaire Sole si gioca tutto

Sole calante, Confindustria al tramonto. La crisi editorial-finanziaria del primo quotidiano di economia, Il Sole 24 Ore, è lo specchio di una crisi di rappresentanza e di credibilità della principale associazione dell’industria manifatturiera nei suoi rapporti con le imprese. Sembra incredibile che un apparato che macina 500 milioni l’anno su scala nazionale e che conta 150mila iscritti non riesca a trovare i mezzi per salvare i bilanci e l’onore della sua principale controllata. Il conto alla rovescia per impedire che il dissesto del Sole 24 Ore coinvolga l’intero sistema è cominciato. Ma personalismi, divisioni e conflitti prevalgono sulla ricerca di un’unità interna.

Il 23 e 24 maggio, all’assemblea di Confindustria, il presidente Vincenzo Boccia vorrebbe presentarsi con in tasca il piano di aumento di capitale del Sole 24 Ore. Secondo un preconsuntivo non definitivo, il gruppo ha infatti chiuso il 2016 con meno 23 milioni di margine operativo lordo e 69 milioni di perdita operativa netta accanto a 284 milioni di ricavi e a un patrimonio netto negativo che peggiora di giorno in giorno. La situazione è grave. Alla ricapitalizzazione non c’è alternativa. Però l’operazione arranca. Importo, modalità e tempi di esecuzione restano vaghi. È probabile che l’aumento si aggiri sui 50-70 milioni, ma è solo una voce. In alcune slide da poco pubblicate sul sito del gruppo, che dovrebbero condensare il piano industriale per il 2017-2020, il management
stima ricavi consolidati pari a 295 milioni nel 2020 e il ritorno a un margine operativo lordo adjusted positivo già l’anno prossimo. Il Mol dovrebbe raggiungere i 19 milioni nel 2018 per balzare a 45 a fine periodo. Questi numeri hanno tuttavia il valore di un atto di fede e sembrano far leva, fondamentalmente, sul taglio dei costi. Gli investimenti, stimati in 22 milioni tra il 2016 e il 2020, sono per generiche “innovazioni del business”.

Ancora meno chiare sono le modalità dell’operazione. I titoli di nuova emissione saranno azioni speciali o ordinarie? E, nel caso fossero ordinarie, quale chance sarebbe offerta ai possessori di azioni speciali? I corsi del Sole 24 Ore sono in forte ripresa dopo il “venerdì nero” degli avvisi di garanzia agli ex manager e all’ex direttore responsabile Roberto Napoletano. Ma dai 5,75 euro del dicembre 2007, quando apparve sul listino, il titolo ha perso il 90% del valore. Chi ha rastrellato nei giorni scorsi evidentemente scommette sulla conversione delle azioni speciali in ordinarie. E Confindustria ha la liquidità per sottoscrivere il suo 67,5% di capitale? L’associazione ha in bilancio 38 milioni di entrate da contributi associativi contro “oneri da attività tipica” per 35 milioni. Nel suo patrimonio netto figurano 58,5 milioni di “riserva attività istituzionale”. Le sue disponibilità sfiorano i 16 milioni. Basteranno? O dovrà cedere in garanzia alle banche la sua sede romana dell’Eur e magari anche il pacco azionario del Sole 24 Ore? In tal caso, ce la farebbe a rimborsare debito e interessi con il solo flusso delle quote associative?

Confindustria non è più il cardine delle relazioni tra impresa e sindacato. I contratti collettivi nazionali di lavoro e la concertazione tra le parti sociali non sono più la bibbia delle relazioni industriali. Per le grandi e medie società che debbono competere sul mercato globale contano anzitutto la flessibilità e la possibilità di stipulare accordi diretti tra azienda e dipendenti. Lo abbiamo visto nel 2012 con l’uscita di Fiat da viale dell’Astronomia: uno strappo che avuto il significato di un “liberi tutti”, avvenuto sul finire della presidenza di Emma Marcegaglia e in prossimità dell’elezione di Giorgio Squinzi. Altre imprese si sono affrancate dal mondo confindustriale, ritenendone esaurito il ruolo storico e di nessun vantaggio i servizi offerti agli associati rispetto a quelli disponibili sul mercato. Parliamo per esempio di Amplifon, il cui ex numero uno, Franco Moscetti, è da qualche mese amministratore delegato del Sole 24 Ore; parliamo di imprese come Morellato, Nero Giardini, Pilkington Italia, Valbruna. L’uscita di Fiat ha peraltro reso più determinante per gli equilibri interni all’associazione il peso delle grandi aziende a controllo pubblico. Enel, Eni, Ferrovie, Fincantieri, Leonardo, Poste, Saipem, Snam sono state ammesse nel sistema confindustriale dopo essersi trasformanti in società quotate e dopo lo scioglimento di Intersind, l’organizzazione datoriale dove trent’anni prima erano confluite le imprese a partecipazione statale dell’Iri fuoruscite da Confindustria. Dai soci pubblici arriva oggi al sistema confindustriale un flusso di quote associative di alcune decine di milioni l’anno. Il rovescio della medaglia è che queste imprese, i cui vertici sono di nomina politica, possono trasformarsi in cinghia di trasmissione del governo e condizionare le scelte dell’associazione. L’esponente di una rappresentanza datoriale indipendente da Confindustria ci spiega che diverse associazioni territoriali, soprattutto in regioni del Sud come la Sicilia, campano con l’ossigeno delle quote associative pagate dalle aziende a controllo statale. Se il governo ordinasse di staccare il tubo dell’ossigeno, queste associazioni smetterebbero di esistere. È un caso limite che aiuta a capire le distorsioni avvenute in Confindustria negli ultimi vent’anni.

L’ex direttore del Sole 24 Ore Ernesto Auci (proveniente dalla Fiat di Cesare Romiti) fa risalire l’inizio della decadenza alla presidenza di Antonio D’amato. Con D’Amato, e con la direzione generale di Stefano Parisi, Confindustria si appiattì sul governo Berlusconi e avviò la svolta generalista del Sole 24 Ore, di cui il quotidiano paga oggi lo scotto. Gli errori, però, erano cominciati prima: con la fallimentare diversificazione nella tv via etere; con la creazione di piattaforme digitali non comunicanti tra loro; con l’acquisto e l’edificazione della sede di via Monte Rosa a Milano, ceduta a un fondo immobiliare in cambio di un dissanguante contratto di locazione a lungo termine. Confindustria deve delle spiegazioni agli stakeholder. Il presidente del consiglio d’amministrazione del Sole 24 Ore è da sempre di stretta osservanza confindustriale, e nel Cda del gruppo figurano il direttore generale della Confederazione, Marcella Panucci, e l’ex presidente Luigi Abete in modo continuativo da quattro lustri. Quale segnale d’allarme è venuto da loro sulle copie digitali? È vero che – come sostiene la Procura di Milano – sono servite a drogare le vendite? Siamo sicuri che il denaro versato dal Sole 24 Ore all’inglese Di Source (18 milioni) per servizi fittizi sia rientrato alla base? Comunque, oggi è l’immediato futuro che deve preoccupare Boccia. Mancano otto settimane al 23-24 maggio e bisogna trovare la quadra all’aumento di capitale. Una mano potrebbe venirgli dalle associazioni come Assolombarda e come quelle del Veneto e dell’Emilia. Ma in cambio di cosa? Queste associazioni – stando alle confidenze raccolte da Affari&Finanza – chiedono un direttore del quotidiano di alto profilo, un piano industriale che non sia un esercizio di previsione, quote azionarie, presenza in Cda. Richieste pesanti. D’altro canto, l’ipotetico ingresso delle banche nella compagine, magari anche per effetto di una conversione delle azioni speciali in ordinarie, sarebbe un rimedio peggiore del male. Dipenderebbero dal sistema creditizio non più solo gli associati, ma anche l’organo centrale di coordinamento del sistema ed il suo quotidiano economico-finanziario. Sarebbe la fine di qualsiasi indipendenza e l’inizio di conflitti ingovernabili.

L’inchiesta è stata svolta in collaborazione con Business Insider