Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  marzo 28 Martedì calendario

Nicola Gratteri: «Per battere le mafie, la politica deve smetterla con l’ipocrisia»

Le mafie riciclano e investono. I loro soldi fanno gola a tanti. Entrano con una facilità impressionante nell’economia legale. Ci sono paradisi fiscali che custodiscono e proteggono i soldi della droga, eludendo le indagini che cercano di far luce sui capitali mafiosi. Londra è una delle piazze finanziarie più importanti con una ventina di centri offshore, come le Isole Cayman, Jersey e Guernsey. Gli Stati Uniti costituiscono invece il più esteso paradiso fiscale, grazie alle leggi permissive di Stati come il Nevada, il Delaware, il Wyoming e la Florida. Altrettanto accoglienti sono Paesi come San Marino, Liechtenstein e Gibilterra. È un buco nero dentro il quale c’è di tutto, dalle tangenti della corruzione al traffico d’armi e droga, dalle plusvalenze delle multinazionali ai soldi della grande evasione internazionale.
Una volta c’erano i contanti, oggi ci sono i pagamenti e i trasferimenti online, spesso su portali localizzati in Paesi offshore. La corruzione è l’altra faccia delle mafie. Ciò che prima si faceva con le armi oggi si può fare con professionisti compiacenti che garantiscono opportunità di investimento e riciclaggio di denaro sporco.
Piercamillo Davigo, presidente dell’Associazione nazionale magistrati, è stato uno dei componenti del pool di Mani Pulite. In un articolo pubblicato nel febbraio 2017 sul Fatto Quotidiano, spiega con grande efficacia i meccanismi della corruzione e le difficoltà che si incontrano a sradicarla. (…) Nel buco nero del malaffare, la corruzione è un elemento imprescindibile. In cambio di denaro, tanti continuano a chiudere gli occhi, a prestare il fianco e a girarsi dall’altra parte. I danni della corruzione sono ormai, da tempo, sotto gli occhi di tutti. (…)
La politica dovrebbe avere più coraggio e “raccontare” la mafia “denunciando” tutte le forme di collusione e combattendola nelle scelte quotidiane. Si celebrano giustamente le vittime, si guarda al passato, alla memoria storica, ma il presente e il futuro? In primo luogo, la politica dovrebbe affrontare la mafia. Soprattutto al suo interno. Al momento, non c’è partito che non possa “vantare” quanto meno un esponente sorpreso in contatto con i clan, molti hanno, fra i loro, persino condannati in via definitiva. Pochi hanno il coraggio di condannare connivenze e frequentazioni. Quando questo o quel politico finisce sotto indagine, tutti sono “sorpresi e costernati”, sebbene abbiano fatto con lui centinaia di riunioni, incontri, colloqui e magari decine di campagne elettorali. E questo non è possibile. In più, c’è un paradosso. Quando si chiedono controlli antimafia sulle liste elettorali, tutti sono pronti a gridare all’ingerenza della magistratura nella politica.
Quando però uno di quei candidati viene arrestato, tutti sono pronti a dire: “Perché non ce lo avete detto prima?”. È ipocrita. Da parte della politica è necessario e urgente un atto di coraggio, che permetta di rimuovere tutti gli ostacoli che oggi impediscono di combattere efficacemente le mafie. C’è bisogno di un po’ di chiarezza sugli obiettivi e un po’ di coerenza. Se si afferma che la lotta alle mafie è una priorità, bisogna dare a inquirenti e investigatori gli strumenti per combatterla, come per mostrare ai cittadini che il contrasto delle organizzazioni mafiose porta benefici per tutti. Ma servono fatti, non parole. Per combattere le mafie bisogna accettare il fatto che, negli anni, esse sono state protette e utilizzate dal potere politico ed economico. La loro storia è fatta di continue trattative con lo Stato che, quando poteva sferrare il colpo decisivo, si è sempre tirato indietro, distratto da altre emergenze, alcune vere, altre inventate.
Senza il rapporto con la politica, le lobby di potere, le logge più o meno deviate della massoneria, il sostegno di professionisti senza scrupoli, le mafie sarebbero già state sconfitte da tempo. Se si riuscisse ad accettare questa amara realtà e trovare la forza di reagire, senza sensi di colpa o polemiche sterili e inutili, forse si potrebbe chiudere il cerchio. Ma ci vuole coraggio, coerenza e determinazione. Come è avvenuto al tempo del terrorismo e, ancora prima, del brigantaggio. La guerra che non abbiamo mai voluto combattere, possiamo allora cominciare a vincerla.