Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  marzo 28 Martedì calendario

Senza «Sos» sanzione al dipendente

Lo schema di decreto legislativo di recepimento della quarta direttiva antiriciclaggio (Ue), attualmente all’esame delle Commissioni parlamentari, introduce un sostanziale inasprimento delle sanzioni amministrative pecuniarie per gli obbligati alla segnalazione delle operazioni sospette in caso di inadempimento.
Tale dovere costituisce uno degli aspetti di massima espressione della collaborazione attiva cui sono chiamati i destinatari della normativa di prevenzione e di contrasto al riciclaggio. Nella segnalazione di operazioni sospette, infatti, gli obbligati devono farsi parte attiva nel trasmettere alla Uif un articolato compendio di informazioni sui propri clienti che, in base a elementi di anomalia, sono sospettati di attuare condotte finalizzate al riciclaggio ovvero all’autoriciclaggio. Tali informazioni traggono origine in larga misura dall’adeguata verifica, ossia dalla conoscenza nel continuo che i soggetti obbligati devono curare con riguardo a ciascuno dei propri clienti.
Sulla base delle indicazioni contenute nello schema di decreto antiriciclaggio, l’attuazione degli obblighi di adeguata verifica e, di conseguenza, l’attivazione della procedura di collaborazione attiva che porta all’invio della segnalazione di operazione sospetta, è rimessa, all’interno della struttura, al dipendente destinato a intrattenere stabilmente rapporti con il cliente.
Così per gli intermediari bancari e per gli altri operatori finanziari l’obbligo di segnalazione incombe, in linea di massima, sul dipendente che ha rapporti diretti con il cliente, il quale è tenuto a segnalare, senza ritardo possibili operazioni sospette al titolare della funzione antiriciclaggio o al legale rappresentante o a altro delegato. La segnalazione all’Uif deve avvenire entro 30 giorni.
Alla luce di tale assetto le sanzioni sono comminate direttamente a tale soggetto, rispondendo la società soltanto a titolo solidale. Tuttavia, la capacità reddituale dei responsabili che normalmente si trovano a figurare come incolpati principali ammonta normalmente a una Ral di poche decine di migliaia di euro, mentre le sanzioni per l’omessa segnalazione di operazioni sospette raggiungono sovente cifre enormi per effetto dei criteri previsti dalla legge (dall’1 al 40% dell’importo dell’operazione non segnalata), che risultano immutati rispetto all’attuale norma, nonostante l’espresso richiamo alla proporzionalità formalizzato nella IV direttiva.
Nei casi più gravi, è ordinata anche la pubblicazione per estratto del decreto sanzionatorio su almeno due quotidiani a diffusione nazionale di cui uno economico, a cura e spese del sanzionato.
Lo schema di decreto legislativo messo in consultazione dal ministero dell’Economia prevedeva,invece, l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 30mila a 300mila euro. La bozza emendata dal Cdm sottoposta a parere parlamentare reintroduce una sanzione dall’1 al 40% del valore dell’operazione non segnalata ovvero tardivamente segnalata.
Si tratta di sanzioni particolarmente consistenti, per le singole persone fisiche, le quali non traggono alcun beneficio dalla concomitante responsabilità solidale dell’ente.
Tale responsabilità opera, infatti, esclusivamente sul piano dell’effettività della sanzione, obbligando l’ente a supplire a una eventuale incapienza della persona fisica ma non solleva la stessa dal carico sanzionatorio.
Infatti, i principi contabili e le previsioni tributarie in materia di lavoro dipendente impongono all’intermediario di agire in regresso sul dipendente, con la conseguente configurazione di un onere pecuniario in grado di incidere in misura rilevante sulla sfera personale del dipendente al quale è stata addebitata la paternità dell’illecito amministrativo.