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 2017  marzo 28 Martedì calendario

La Guyana francese sta scoppiando

Per favore, non ditelo a Matteo Salvini che dall’altra parte dell’Atlantico ci sono migliaia di migranti (profughi? clandestini?, difficile definirli) che ogni giorno attraversano il fiume Oyapock, al confine con il Brasile, o il fiume Maroni (ironia dei nomi!) al confine con il Suriname, ex Guayana olandese, oppure attraversano un braccio di mare poco più grande del Canale di Sicilia che separa il continente sudamericani dall’isola di Haiti, ed entrano in Europa.
La meta di migliaia e migliaia di disperati è la Guyana francese, territorio d’Oltremare, come a dire un pezzo di Francia, grande come la Languedoc-Roussillon e i Pyrenées Atlantiqués messe insieme (date un’occhiata alla cartina), 84 mila km quadrati, a nord del Brasile, 250 mila abitanti, cittadini francesi a pieno diritto e quindi cittadini europei, che vivono essenzialmente di pesca e agricoltura (le vecchie miniere d’oro producono solo qualche tonnellata di minerale e sono quasi tutte in mano alla criminalità) e che ormai non ne possono più di vivere in uno dei Paesi più violenti e insicuri al mondo.
Una cinquantina di omicidi negli ultimi 12 mesi, 200 stupri, 428 rapine a mano armata («Due volte di più che a Marsiglia!», fa notare il prefetto della Cayenna, la capitale), un tasso di criminalità che supera di 14 volte quella di Saint Denis, la banlieu violenta a nord di Parigi.
Si può vivere per anni in queste condizioni? «Insecurité et paupérisation», per dirla con le parole del sindaco di Kourou (la seconda città del Paese) François Rinquet, insicurezza e degrado delle condizioni di vita con frotte di migranti affamati che vagano per città e villaggi e assaltano i negozi, hanno trasformato questo lontanissimo angolo di Francia (e d’Europa) in una polveriera sociale che minaccia di innescare una vera guerra civile.
Non è un’esagerazione. I giornali italiani non ne parlano, ma da due settimane la Guyana francese – che non è un’isola come ha dichiarato domenica scorsa in un comizio Emanuel Macron dimostrando una conoscenza assai approssimativa della geografia politica del suo Paese (e per questo è stato preso in giro da tutti i giornali, di destra e di sinistra) – la Guyana francese, dicevamo, è completamente bloccata. Tutto chiuso, dalle scuole agli uffici ai trasporti pubblici. Seri problemi di approvvigionamento alimentare. Seri problemi al centro spaziale (voluto da De Gaulle dopo la chiusura di quello algerino) che continua a rinviare il lancio dell’ultimo missile Arianne. Seri problemi e molta preoccupazione tra i poliziotti e i soldati (alcune migliaia) del 3° reggimento della Legione Straniera incaricati di mantenere l’ordine.
Operazione sempre più complicata dopo che il 17 marzo scorso un gruppo di scioperanti incappucciati alla maniera del Ku-Klux Klan, e che si definisce «Les 500 Frères», i 500 Fratelli, ha interrotto l’intervento del ministro dell’Ambiente Ségolène Royal venuta qui, non si capisce perché data la situazione già arroventata, a parlare di cambiamenti climatici. «Siamo ad un passo dalla rivolta» ammette l’ex comandante della Gendarmeria d’Oltremare, il generale (ora in pensione) Bertrand Soublet, che nel 2013 aveva lanciato l’allarme sulla situazione esplosiva della Guayna e per questo era stato subito rimosso e messo a riposo. «Avevo chiesto di smantellare gli accampamenti abusivi degli haitiani e dei brasiliani senza lavoro dopo la fine dei Giochi olimpici che arrivano alla Cayenna e pensano di essere in Europa; avevo chiesto di rafforzare il dispositivo di difesa, ma a Parigi hanno preferito girarsi dall’altra parte, fingere di non vedere, e questo è il risultato».
Nei giorni scorsi il premier Cazeneuve ha promesso di inviare alla Cayenna una delegazione ministeriale, ma anche quest’ultimo tentativo di «appaisement» ormai non basta più. Tutti i sindaci, che ora appoggiano lo sciopero generale che sta bloccando il Paese, vogliono trattare solo con i massimi vertici del potere, il capo del governo Cazeneuve o il presidente Hollande in persona. Non ci sono più margini. O da Parigi arrivano risposte concrete o la Guyana s’infiamma. A un mese dalle elezioni.