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 2017  marzo 28 Martedì calendario

Pasolini. Quel Grand Tour in Italia lontano dalle scomuniche e in cerca solo di felicità

L’immagine che, volere o no, ha racchiuso Pasolini come una mosca nell’ambra è quella dell’intellettuale corsaro e luterano che cerca, con la forza della sua intelligenza e della sua passione, di fermare il mondo impedendo quella omologazione che lo avrebbe sottratto al perpetuarsi di una meravigliosa, anche se spesso drammatica, innocenza.
In realtà Pasolini cercava la felicità. L’aveva inseguita, da poeta, nel dialetto friulano in cui le parole e le cose si coniugavano perfettamente dandogli una sensazione di compiutezza mai più raggiunta così pienamente, e l’aveva cercata, da scrittore, nel mondo per lui nuovo delle borgate romane dove i ragazzi, vivendo come sempre al di qua della storia, recitavano il loro copione con una autenticità assoluta di cui Pasolini si faceva portavoce e quasi sacerdote. Poi c’era stato Accattone, il trasporto della borgata non più sulla pagina ma sullo schermo: voci vere, volti veri, senza filtri. La felicità era immergersi in quelle esperienze, secondando l’estro poetico e il fluire di un eros incendiario, sempre pronto a risorgere dalle proprie ceneri. (...) Il sogno di Pasolini, ed è storia notissima, si era scontrato con la morale e la cultura veteroborghesi diversamente interpretate dalla destra cattolica e dalla sinistra comunista in cerca di realismi ortodossi. C’erano stati i processi, i tribunali e, non meno dure, le parole degli intellettuali-compagni. Pasolini però cresceva presso il pubblico, scomunica dopo scomunica. Cresceva nel dolore e nella rabbia. Per questo fa una strana impressione incontrare un Pasolini in viaggio lungo le coste italiane nell’anno di grazia 1959. Perché è un Pasolini felice. La commissione del viaggio gli viene dalla rivista Successo, che pubblicherà in tre puntate il suo reportage con le fotografie di Paolo di Paolo (il 4 luglio, il 14 agosto e il 5 settembre). Pasolini ha trentasette anni ed è ormai un intellettuale famoso. (...) Tutto comincia al confine con la Francia che passa, poco oltre Ventimiglia, in mezzo al rio San Luigi, in quel momento completamente secco. Lì sopra si intravede la villa Voronoff di cui Pasolini non dice nulla perché era allora molto più celebre di adesso: scienziato utopista, Serge Voronoff pretendeva di ridare vigore agli uomini anziani trapiantando testicoli di scimpanzé... Ma ecco subito San Remo dove lo scrittore visita il Casinò. «Entro come Charlot, cercando di farmi piccolo sotto gli sguardi monumentali dei custodi». Poi di nuovo lungo la costa a indovinare la gioia della gente che affolla le bellissime spiagge «in una sagra d’amore». «A Spotorno è mio dovere fermarmi, e non mi fermo.» Ci abita un poeta vero, col quale Pasolini è in corrispondenza: Camillo Sbarbaro. Forse Pasolini pensa che sia troppo presto per una tappa letteraria, ma gli incontri non mancheranno a viaggio già inoltrato. E Pasolini dirà al lettore di sé, registrerà di volta in volta le proprie reazioni: più che scrivere si direbbe che «giri» con una macchina leggera a spalla. Spiaggia dopo spiaggia, ecco la Versilia, ecco il Cinquale. Qui villeggia Bertolucci (il poeta), qui, aggiunge Pasolini, ci fu D’Annunzio. A Forte dei Marmi gli Agnelli possiedono una grande villa e sotto un tendone color ruggine lo scrittore avvista Gianni Agnelli, «grasso, fiorente, abbronzato». Il fotografo gli si avvicina e chiede: «Le dispiace se le faccio qualche fotografia?» E, «con cortesia celestiale, Gianni Agnelli risponde: “Moltissimo!”» È un Pasolini in vacanza, in vacanza anche dalle proprie ire e nevrosi, quello che scrive allora. A Fregene corre subito a salutare Moravia, che sta scrivendo il suo nuovo romanzo La contemplazione e la noia, che poi diventò più semplicemente La noia. Poi va anche da Fellini, che sta girando un episodio della Dolce vita. Ha, Pasolini, qualcosa da farsi perdonare: doveva aiutare il regista a scrivere alcuni dialoghi e invece ecco che va in giro per le spiagge. «Un giorno», racconta, «da non so che città del mondo, Fellini mi ha scritto una cartolina chiamandomi “fedelissimo Paolino” (il fondo pascoliano di Fellini lo porta al diminutivo)».
Bellissimo è l’attacco del pezzo su Ostia: «Arrivo a Ostia sotto un temporale blu come la morte». È luglio. L’attrice Elsa de’ Giorgi è in macchina con lui: si stanno dirigendo verso il Circeo e lei parla, parla... (...) La de’ Giorgi scende e Pasolini va avanti da solo: «Il cuore mi batte di gioia, di impazienza, di orgasmo. Solo, con la mia millecento e tutto il Sud davanti a me. L’avventura comincia».
L’arrivo a Napoli è una vera sceneggiatura: il personaggio chiave è ancora Pasolini, che cena da Ciro e poi fa due passi ed è subito circondato dai venditori di fiori, dai ragazzini che chiedono: «Dieci lì, dieci lì». Lui gliene dà cinquanta: «l’esercito dei poveri pidocchi mi è attorno». Presto scopre che il capo di quella ciurma è un nano. «Songo piccolo... Songo nano! Tutti nella famiglia mia siamo nani!» Ubriaco di Napoli, lo scrittore passa la notte in bianco: «Ho fatto l’aurora, ho visto il Vesuvio, vicino che si poteva toccarlo con la mano, contro un cielo, ormai rosso, avvampante, come non riuscisse più a nascondere il Paradiso».
L’entusiasmo è quello di un ragazzo, il gusto quello dello scrittore antropologo che si avventura in un mondo tutto da scoprire o riscoprire, ma c’è anche il giornalista pronto a intervistare personaggi noti. A Ischia gli dicono che in albergo c’è il conte Visconti e lui lo cerca, ma subito non lo trova. Lo vedrà più tardi sul molo di Casamicciola. «Mi avevano detto che mi cercava Pratolini!» Sta aspettando un battello, devono arrivare un po’ di attori ed ecco Lorella De Luca, «poverina, come un agnello, una pannocchietta nella tempesta... Ecco Franca Valeri, con un magnifico vestito verde che la rende quasi quadrata, con un sorriso da statua etrusca, e due enormi limoni in mano». A Maratea, l’ultima scoperta degli industriali milanesi, si annoia, anche se guarda la costa con una certa ammirazione. Però è ancora una volta la gioia la vera misura del viaggio: una gioia che cresce man mano che ci si inoltra nel profondo Sud. «Avevo sempre pensato e detto che la città dove preferisco vivere è Roma, seguita da Ferrara e Livorno. Ma non avevo visto ancora, e conosciuto bene, Reggio, Catania, Siracusa. Non c’è dubbio, non c’è il minimo dubbio che vorrei vivere qui: vivere e morirci, non di pace, come con Lawrence a Ravello, ma di gioia». E poco più avanti: «il viaggio da Messina a Siracusa può fare impazzire». (...) Non c’è che dire: il tono, l’enfasi, la gioia degli incontri restituiscono un Pasolini ragazzo, pronto a correre incontro al mondo, specie in quel Sud dove tutto gli sembra più autentico. Poi incomincia la risalita della costa italiana. (...) Nel frattempo il suo viaggio si era compiuto: risalendo la costa Adriatica si era pian piano riavvicinato ai luoghi delle sue vacanze infantili. A Venezia aveva incontrato due pittori, Turcato e Santomaso. È una lamentela scherzosa, la loro: il mare è uno schifo, la vita notturna non c’è. A Caorle tutto è andato in malora: «Era uno dei più bei paesi del mondo: lo giuro» scrive Pasolini ed è il grido del ragazzo tradito, tradito nei suoi ricordi. «Squallide, tristi pensioni, in folla, per un nuovo lungomare che sa ancora di calce fresca, hanno soffocato l’antico paese, mostro di colorata purezza». E siamo, di nuovo, oltre Trieste al confine. Questa volta con la Jugoslavia. Pasolini registra le voci di alcuni bagnanti: «Presteme el petine!» dice una e il giovanotto risponde: «Speta!» «Qui finisce l’Italia, finisce l’estate», conclude Pier Paolo.