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 2017  marzo 28 Martedì calendario

Il suo partito lo umilia gli investitori lo lasciano e il genero sotto accusa. Ecco l’assedio a Trump

NEW YORK Umiliato e offeso nella sua immagine di eterno vincitore: litiga col partito repubblicano perché non gli obbedisce e ha fatto fallire la contro-riforma sanitaria; il suo Primo Genero Jared Kushner finisce sotto inchiesta parlamentare per la Putin- connection; perfino Wall Street cambia umore e perde quota di fronte alla paralisi governativa. Donald Trump ha passato gli ultimi tre giorni a meditare rivincite o vendette. Potrebbe stupire? Per esempio con improvvise aperture ai democratici? Ammesso che la sinistra voglia allungargli la ciambella di salvataggio, non sarà facile trovare terreni d’intesa. Ieri Trump non ha fatto nulla per ingraziarsi l’opposizione: ha annunciato ritorsioni finanziarie (taglio di fondi federali) contro le tante decine di città-santuario le cui forze di polizia boicottano la caccia agli immigrati clandestini. Non un gesto distensivo: quelle città sono governate dai democratici.
Ma è coi compagni di partito che Trump ha il rapporto più teso. Il presidente ha passato il weekend a twittare contro i “suoi”, colpevoli di alto tradimento. Ha inveito contro il Freedom Caucus, la pattuglia degli ultrà liberisti che hanno sabotato il voto sulla nuova sanità che doveva sostituire Obamacare. Se l’è presa anche con Paul Ryan, il presidente della Camera che non è riuscito a imporre la disciplina tra i ranghi repubblicani. Al suo ritorno alla Casa Bianca ieri Trump si è ritrovato i media pieni di gossip su altri regolamenti di conti: interni alla sua squadra. I retroscena pullulano sui giornali: raffiche di accuse incrociate tra “l’anima nera del presidente” Stephen Bannon (consigliere di estrema destra), il genero Jared Kushner, il moderato Reince Priebus che fino a poco tempo fa presiedeva il partito repubblicano, il capo dei consiglieri economici Gary Cohn (uno dei tanti ex Goldman Sachs). Quattro figure-chiave nel cerchio degli intimi. Ma impegnati in un forsennato scarica- barile, pieni di livore gli uni contro gli altri, alla ricerca del capro espiatorio sul quale addossare le responsabilità della débacle. È stato imbastito un “processo a mezzo stampa” a Kushner perché nel bel mezzo della battaglia su Obamacare, anziché essere a Washington per lavorare ai fianchi i deputati repubblicani, sciava ad Aspen in Colorado. Ma è più delicato l’altro appuntamento che attende Kushner: davanti alla commissione d’inchiesta parlamentare sul Russia-gate. Dovrà anche lui rispondere su una serie di incontri che ebbe, in piena campagna elettorale, con l’ambasciatore russo a Washington, Sergey Kislyak. I contatti ravvicinati con la diplomazia e l’intelligence russa sono già costati la poltrona al generale Michael Flynn che era il consigliere presidenziale sulla sicurezza nazionale. Poi è toccato all’attuale ministro della Giustizia, Jeff Sessions, auto-sospendersi dalla guida delle indagini perché lui stesso protagonista d’incontri con l’ambasciatore Kislyak. Un altro uomo che dovrà presentarsi alla commissione d’indagine è Paul Manafort, che era capo della campagna elettorale di Trump ed ha avuto vari business coi russi e i filo-russi in Ucraina. Che sia iniziato il ridimensionamento del Primo Genero? Molti se lo chiedono – e alcuni come il rivale Stephen Bannon se lo augurano. Il marito d’-I-vanka ha accumulato una quantità impressionante d’incarichi: il suocero vorrebbe che lui «facesse la pace tra Israele e i palestinesi», ma gli ha affidato anche una task force per riformare tutta l’Amministrazione federale, nientemeno. Kushner ha 36 anni, zero esperienza politica, un passato di banchiere alla Goldman Sachs come unica credenziale.
È un paradosso per un governo infarcito di banchieri, proprio Wall Street comincia a dubitare dell’Amministrazione Trump. La luna di miele sembra ormai nello specchietto retrovisore. Dall’8 novembre in poi gli investitori hanno creduto nella capacità di Trump di mantenere alcune promesse in campo economico: tra queste i mille miliardi di investimenti in infrastrutture e soprattutto la poderosa riduzione delle imposte sulle imprese. La débacle su Obamacare in sé non sarebbe un problema – le assicurazioni e Big Pharma continueranno a lucrare su un sistema privatistico – però Wall Street ci vede un segnale di incompetenza e impotenza presidenziale. Dunque un pessimo presagio per le riforme che contano davvero nell’ottica dei mercati. Trump avrebbe davvero bisogno di aprire ai democratici: ma come può imbarcarli in un piano fiscale che promette regali soprattutto alle aziende, e ai contribuenti più ricchi? A sinistra poi è apparso un nuovo movimento, si chiama “Indivisible”, ha mobilitato soprattutto i giovani ed ha giocato un ruolo importante per la disfatta di Trump sulla sanità. Non è clima di rappacificazioni e compromessi bipartisan.