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 2017  marzo 28 Martedì calendario

Mosca, la rivolta dei figli dell’era Putin: «Domani finirete voi a processo»

MOSCA Il processo non è ancora iniziato che Aleksej Navalnyj twitta un selfie: «Ciao a tutti dal tribunale Tverskoj. Verrà il tempo quando saranno loro (i corrotti, ndr) a essere processati e, quando verrà, accadrà in maniera onesta». Quando poi viene portato in aula fa giusto in tempo a dirsi «stupito del numero di città che ha preso parte alla protesta» che subito comincia l’udienza fiume. Ma Navalnyj interviene spesso. Perché, chiede, non viene portato alla sbarra il premier Medvedev per spiegare «perché così tanta gente ha manifestato?». «Qui è assente anche la minima illusione di giustizia», dice poi lamentandosi del giudice che alla fine lo condanna a 15 giorni di carcere per resistenza a pubblico ufficiale e a una multa da 20mila rubli, 320 euro, per aver organizzato proteste illegali.
È un imputato irrequieto l’oppositore fermato domenica a Mosca mentre si univa alla marcia da lui organizzata, ma non autorizzata dalle autorità, contro la corruzione al potere, e in particolare contro il premier Dmitrij Medvedev. Il suo appello a scendere in strada era stato raccolto da oltre 8mila manifestanti nella sola capitale, ma aveva visto larga adesione anche in città tradizionalmente “putiniane” come la capitale del Daghestan Makhachkala. «Gli eventi di ieri dimostrano che un gran numero di elettori in Russia sostiene il programma di un candidato che lotta contro la corruzione. Questa gente chiede una rappresentanza politica e io mi batto per essere il loro rappresentante politico», commenta infine prima di essere riportato in cella il 40enne che, due volte processato per appropriazione indebita di fondi, aspira a correre alle presidenziali 2018 nonostante una condanna a cinque anni con sospensione.
Medvedev, nel mirino dei manifestanti dopo la durissima inchiesta confezionata dalla Fondazione anti-corruzione guidata dal blogger, però non si scompone. E interpellato da un utente Instagram su come sia andata la sua domenica, risponde: «Non male, ho sciato». Mentre il Cremlino, per bocca del portavoce Dmitrij Peskov, afferma di rispettare il diritto del popolo a esprimersi in conformità con le leggi, ma non di quelli che provocano azioni illegali, «ingannando i minori» e persino, aggiunge, «promettendo ricompense economiche» perché si facciano arrestare.
Mai, in effetti, nella storia del Paese, si erano visti in strada così tanti liceali e studenti come domenica. Russi nati intorno al 2000 quando Vladimir Putin ascese al potere e che hanno trovato in Gleb Tokmakov, protagonista di un video virale, il loro simbolo. «Faccio la quinta. Non importa chi sta al potere, ma cambiare il sistema di potere stesso. Le scuole sono politicizzate, i funzionari corrotti. La Costituzione dovrebbe lavorare per noi e non per loro», ha detto arringando la folla a Tomsk.
Tra i circa 1.400 manifestanti fermati l’altro ieri, di cui oltre mille nella sola capitale, poi in gran parte rilasciati, i “figli di Putin” come Gleb erano tantissimi. «Un affronto alla democrazia», così aveva definito il loro arresto il dipartimento di Stato Usa, chiedendone l’immediato rilascio come pure l’Unione Europea. «Quando eventi dello stesso livello provocano reazioni differenti non si può fare a meno di pensare a doppi standard», ha commentato il ministro degli Esteri russo Serghej Lavrov nel corso di una conferenza stampa congiunta con Angelino Alfano ieri in visita a Mosca. Il capo della diplomazia italiana ha detto di «non poter che riconoscersi nella posizione espressa ufficialmente dall’Ue e ribadire la fede nei principi di libera manifestazione del pensiero». Nel corso della visita – che ha previsto anche un incontro con gli imprenditori italiani in Russia e con il vicepremier russo Arkadij Dvorkovich – Alfano ha però ribadito che Mosca resta «un partner affidabilissimo nell’approvvigionamento energetico, nella lotta al terrorismo» e su dossier come Siria e Libia. Quanto alle sanzioni, il governo «le considera non un obiettivo da raggiungere, ma uno strumento per realizzare gli accordi di Minsk» e non fermano la cooperazione economica che anzi potrebbe presto portare alla partecipazione italiana alla costruzione dei gasdotti Nord Stream2 e Turkish Stream.