la Repubblica, 28 marzo 2017
L’amaca
Si pubblicano ovunque, forse con qualche imprudenza, le foto della figlia diciottenne dell’assassino di Londra.
Una ragazza europea sorridente e felice del suo vestito scollato, della sua giovinezza e della sua libertà. Ha rifiutato la conversione forzata alla quale il padre jihadista voleva costringerla. Le religioni patriarcali pensano che ribellarsi al padre equivalga a ribellarsi a dio: hanno, del padre, un’idea davvero spropositata, e chissà che non sia anche per questo che tanti maschi, schiacciati da quel peso assurdo, escono di senno. Speriamo che le autorità inglesi proteggano quella ragazza – che sia benedetta – e l’Europa la accolga tra le sue (non poche) ragioni di orgoglio.
Era già tutto scritto fin dal lontano 1991, quando in Algeria i fondamentalisti islamici cominciarono a uccidere le ragazze che portavano i jeans. Era già tutto scritto ma ce ne accorgemmo poco e male, forse perché a morire, a essere sfregiate, recluse, punite erano le ragazze musulmane e cristiane del Maghreb, dei paesi arabi, africani, asiatici; e ancora lo sono. Algeri è più vicina di Londra, ma la distanza mediatica è incommensurabile. Parliamo poco anche della Tunisia, Paese martire e Paese coraggioso, con una costituzione laica, circondato dalle lame e dalle bombe dei jihadisti.