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 2017  marzo 28 Martedì calendario

Il ruolo del critico nel delirio social

Perché, nell’era dei social, avrebbe ancora senso leggere le recensioni dei critici professionisti? Su ilLibraio.it risponde Pamela Paul, responsabile della «New York Times Book Review»: perché le recensioni dei critici sono più obiettive e affidabili, riescono a mettere in relazione un libro con le altre opere dell’autore, illustrano il contesto letterario eccetera. È vero che il passaparola ha un grande successo in Rete, tuttavia è altrettanto innegabile che la responsabilità critica (se è davvero responsabile, cioè seria e onesta) non può essere sostituita dall’irresponsabilità di Facebook. Un conto è la quantità del consenso popolare, altro conto è il giudizio di valore, a meno che non si pensi che il valore in letteratura sia una variabile del tutto relativa che rientra nella sfera opinabile del gusto, diversamente dalla qualità del vino, di un tailleur, di una partita di calcio o di un abat-jour, che invece sarebbero «misurabili» oggettivamente. Sull’ultimo numero de Gli Asini, una bella rivista diventata mensile, Goffredo Fofi (l’instancabile) scrive un intervento allarmato a proposito della produzione editoriale, soffermandosi sugli ultimi impressionanti dati dell’Aie, l’Associazione editori italiani. «È un delirio», dice Fofi: l’anno scorso sono stati pubblicati 66 mila libri, il 600 per cento rispetto agli anni 80, per un bacino di lettori rimasto pressoché immutato. I titoli di narrativa sono cresciuti del 1.800 per cento (18 mila contro i mille del 1980). Per di più, nel 2016 il 40 per cento dei dirigenti, imprenditori e liberi professionisti non ha letto neanche un libro: probabilmente molti di loro decideranno di visitare le fiere di Milano o di Torino, magari continuando a non leggere nulla. Nell’era dell’indistinto, con un’offerta tanto eccessiva e irresponsabile sul piano economico oltre che culturale (immaginate un mercato del vino che produca quantità spaventose di bottiglie per un popolo astemio), il critico dovrebbe svolgere un compito di orientamento ancora più utile che in passato, visto che la selezione non è più prevista né dai media né dall’editoria: un critico non troppo tecnico, ma serio e coraggioso. Di solito si pensa che non ci siano più i critici di una volta: non è vero, ce ne sarebbero parecchi in giro, ma sono figure non gradite, dei rompiscatole con la puzza sotto il naso da tenere a distanza. Ben vengano, invece, i politologi.