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 2017  marzo 28 Martedì calendario

L’azzardo del dottor Crepet

Il fatto che i sindaci le studino tutte per scoraggiare il gioco d’azzardo – dagli orari al divieto delle slot machine vicino alle scuole – è lodevole ma inutile. Lo sostiene lo psichiatra Paolo Crepet, consulente di Lottomatica al Tar contro il Comune di Bergamo: il malato di gioco sarebbe predisposto alla dipendenza.
Accolta. Bocciata. Accolta. Bocciata. Ma esiste un senso comune nelle sentenze dei vari Tar sulle ordinanze dei sindaci che cercano di contenere la peste dell’azzardo? E lo Stato, per metà biscazziere e per metà medico curante, si decide o no a mettere ordine nel settore o preferisce continuare a tenere i piedi in più scarpe?
La tesi del ministro della Salute Beatrice Lorenzin è nota: «La ludopatia è un fenomeno gravissimo». Il sito ufficiale insiste: «Il Disturbo da Gioco d’Azzardo (Dga) non è solo un fenomeno sociale, ma è una vera e propria patologia, che rende incapaci di resistere all’impulso di giocare d’azzardo o fare scommesse in denaro». Il che «può portare a rovesci finanziari, alla compromissione dei rapporti e al divorzio, alla perdita del lavoro, allo sviluppo di dipendenza da droghe o da alcol fino al suicidio».
Sul fronte opposto i businessman dell’azzardo, pubblici o privati, insistono sulla tesi che in fondo, come dice il testo unico di pubblica sicurezza, le slot-machine sono «apparecchi da intrattenimento». Se poi uno si rovina con le sue mani... Magari è pure alcolista, disadattato, tossico... Chi lo sa cosa c’è alla radice? Beve perché si rovina al gioco o si rovina al gioco perché beve? E il libero arbitrio?
La periziaDubbi raccolti perfino da uno come Paolo Crepet, psichiatra, sociologo, ospite fisso della tivù e autore di una perizia dalla parte di Lottomatica contro il Comune di Bergamo. Reo, col sindaco Giorgio Gori, d’aver varato un regolamento e un’ordinanza per fissare dei paletti che arginassero la piaga, che vede ormai i bergamaschi giocarsi 2.536 euro l’anno a testa. Una cifra mostruosa. In una provincia che ha visto bruciare in 8 anni 36 mila posti di lavoro e salire a 20 mila (dati Cisl) le famiglie in povertà assoluta.
Poche regole ma chiare, quelle bergamasche: sale gioco e punti-azzardo lontani da scuole, ospedali, bancomat, luoghi sensibili e chiusi in tre fasce orarie, colazione, pranzo, cena, per «rendere difficoltoso il consumo di gioco in orari tradizionalmente e culturalmente dedicati alle relazioni familiari» e «indurre i giocatori patologici ad una pausa forzata» che interrompa la schiavitù da tossicomane di chi passa ore alla slot-machine.
Intenti «lodevoli» ma di fatto inutili, afferma Crepet. E sostiene che «non esiste un punto di riferimento scientificamente accertabile», che come riconosce il Dipartimento Politiche Antidroga di Palazzo Chigi «non vi sono dati statistici completi ed esaurienti», che è impossibile «stabilire un serio e probativo rapporto di causa/effetto tra il gioco (quale? per quanto tempo?) e gli effetti psicopatologici (quali?)», che i Comuni danno dati imprecisi e insomma che la situazione d’insieme è così complessa e i giocatori così coinvolti in altri problemi che è «difficile sia capire qual è la patologia di partenza sia qual è la prevalente»
Le regole e i sogniQuanto alle invocazioni d’una svolta radicale contro l’azzardo, schizzato in valuta attuale da 8,8 miliardi di euro nel 1993 a 95,97 nel 2016 con un incremento reale di oltre il 1000%, Crepet si spinge a dire: «Non si tengono in considerazione alcuni effetti potenzialmente positivi del gioco, quali la socializzazione, il diritto al sogno, la possibilità di alleviare la propria amarezza e la propria tristezza: non credo che tocchi allo Stato disciplinare anche i sogni e le speranze...».
«Ippocrate si starà rivoltando nella tomba», sbotta Giorgio Gori, «i sogni? Abbiamo problemi enormi di persone che hanno perso tutto e Crepet parla del diritto ai sogni?». «Qui non parliamo del sogno di vincere al Totocalcio quando la ludopatia colpiva soltanto i pochi che andavano a giocare nei quattro casinò italiani», rincara lo psichiatra Graziano Bellio, tra i massimi esperti del settore, «qui parliamo di sogni indotti da chi specula sulle fragilità». «Tutte le indagini tendono a evidenziare che i nuovi giochi d’azzardo riducono drasticamente la socialità rispetto al passato», accusa il gruppo Abele, «è emblematica l’immagine ipnotizzante e solipsistica di chi se ne sta aggrappato a una slot-machine, solo solo, nel retro di un locale». «Sa quante slot ci sono alle Piagge, periferia di Firenze?», chiede il sindaco Dario Nardella, «una ogni 65 abitanti. Ogni venti famiglie. Eppure il Tar, sui nostri paletti, ci ha dato torto».
Bergamo ne ha vinte tre su quattro, di battaglie al Tar. Comprese tutte quelle contro Lottomatica. Ha perso unicamente con i tabaccai, che sostengono d’essere solo dei distributori di due prodotti statali, il «10eLotto» e i «Gratta&Vinci». Detto fatto, Giorgio Gori ha cambiato l’ordinanza sui due dettagli («conta aver vinto sul resto») e fine. Con Firenze, però, hanno via via perso (anche per errori di sindaci pieni di buona volontà ma un po’ garibaldini) i Comuni di Desio, Verbania, Torino, Venezia, Grosseto...
Crescono, tuttavia, quelli che hanno vinto. Da Napoli a Pavia, da Tortona a Imola, da Seriate ad Anacapri. Dove i padroni dell’Azzardo sono arrivati a fare un ricorso straordinario al capo dello Stato. La sentenza firmata come estensore da Mauro Zampini ha dato loro torto. Riconoscendo, in base a numerosi altri verdetti, «la legittimità delle ordinanze del sindaco al fine di contrastare il fenomeno del gioco di azzardo patologico».
I «Compro oro»Per non dire dei problemi connessi. Come il dilagare degli sportelli «Compro oro». Non di rado legati all’usura. C’è un grafico, in una ricerca condotta da Maurizio Fiasco per la Camera di Commercio romana, che dice tutto: i pallini rossi delle sale d’azzardo superiori a cento metri quadri e i pallini blu dei «compro oro», soprattutto nei quartieri popolari, sono uno vicino all’altro. Al contrario, dove non ci son bische non ci sono manco sportelli frequentati da disperati spinti dall’ansia febbrile di vendere l’anello, la catenina della cresima, le gioie di nonna. Certo, è un rapporto parziale. Ma vale, dicono, per l’Italia intera. Numeri da incubo: solo a Roma i «compro oro» erano 7 prima del 2000, 291 (duecentonovantuno!) nel 2013.
Detto questo, il governo, il Parlamento, i partiti troppo spesso ambigui (la proposta M5S e altri di vietare la pubblicità all’azzardo è bloccata da quasi due anni) si decidano: o danno ragione ai biscazzieri o danno ragione ai sindaci. Servono regole chiare. Non possiamo andare avanti con sentenze così diverse, spesso a capocchia...