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 2017  marzo 28 Martedì calendario

Il mistero di Alatri

Qualunque essere pensante – anche pensante in dosi morigerate come il sottoscritto – rimane sconvolto dalla manifesta gratuità del massacro di Alatri. La spiegazione ufficiale – il branco si accanisce a botte e sprangate su un ragazzo di vent’anni per punirlo di avere difeso la fidanzata dagli approcci sgangherati di un ubriaco – non soddisfa i nostri meccanismi cerebrali addestrati alla legge di causa ed effetto. Il male, persino quando è banale, non è mai gratuito. Dietro ogni atto immondo ci deve essere una motivazione, sia pure immonda. Un pregiudizio religioso, ideologico, razziale. Una questione di corna arretrate e mai smaltite. L’appartenenza a una tribù. Se ad Alatri un manipolo di ultrà avesse teso un agguato a un tifoso avversario, il nostro cuore sarebbe sì in subbuglio, ma almeno il cervello troverebbe una ragione. Sproporzionata e ingiustificabile, sbagliata, ma riconoscibile.
Qui invece la ragione non si trova e bisogna accettare che in una società umana esistano sacche di male refrattarie a qualsiasi spiegazione. Persone che infieriscono sul prossimo senza altro movente che il proprio malessere. In attesa di trovare una chiave di accesso ai loro sentimenti, ammesso che ne abbiano, si può lavorare soltanto sull’unica emozione che conoscono. La paura. A renderle così orgogliose del loro niente è una spavalda certezza di impunità: in famiglia, a scuola, nei tribunali. La sicurezza, e dunque il timore, di una pena esemplare sembra essere al momento il solo linguaggio che sono in grado di capire.