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 2017  marzo 28 Martedì calendario

Figli di Putin

Mentre in Italia il Parlamento e i giornaloni discutono animatamente della piaga dei giudici in politica, putribondi figuri che mettono in cattiva luce i politici pregiudicati, all’estero dilaga la peste giustizialista: dalla Romania al Brasile alla Russia, la gente scende in piazza addirittura contro la corruzione e financo in difesa dei magistrati anticorruzione. Lo so, sono scene orribili che non vorremmo mai vedere, noi che difendiamo orgogliosamente il primato di Paese più corrotto d’Europa. Ma tant’è: non tutti hanno la nostra fortuna. Noi, dal virus della legalità, siamo guariti già da un pezzo. Infatti in questi giorni, 25 anni dopo Mani Pulite, è tutto un autodafé e un’autocritica per quel clima plumbeo del 1992-’93, che a furor di popolo portava partiti e movimenti di destra e di sinistra, ma anche giornali (come la Repubblica di Scalfari e il Giornale di Montanelli) a organizzare manifestazioni, cortei e fiaccolate contro i politici corrotti e in difesa dei pm di Mani Pulite. I quali erano contesi a morsi e gomitate dai partiti, che li volevano ministri, candidati al Parlamento, a sindaci o a incarichi istituzionali per esporli come trofei e sventolarli come vessilli.
Nel ’94 Tiziana Parenti divenne deputato di Forza Italia e presidente della commissione Antimafia, Di Pietro rifiutò l’offerta di Berlusconi e Previti di fare il ministro dell’Interno, Davigo quella di Ignazio La Russa di diventare ministro della Giustizia. Dopodiché “Tonino” lasciò la toga e nel ’95 respinse i nuovi assalti sia di B. che lo voleva viceleader del centrodestra o capo dei servizi segreti, di Casini e Buttiglione che lo invocavano come leader del centro, di Fini e Tremaglia che lo sognavano alfiere della destra, e nel ’96 cedette all’offerta tecnica di Prodi che lo nominò ministro dei Lavori pubblici e poi a quella politica di D’Alema che nel ’97 lo candidò al Mugello. All’epoca pareva che il problema dell’Italia fosse quello della corruzione (stimata dal Centro Einaudi in 10 miliardi di euro all’anno di costi aggiuntivi per le casse dello Stato), cioè dei ladri, non di chi l’aveva scoperta e sanzionata, cioè le guardie. Ora che è quasi decuplicata (chi dice 60, chi 80, chi 100 miliardi all’anno), il problema sono i giudici, che non devono più metter piede in Parlamento nemmeno per visitarlo, per non infastidire i delinquenti che vi risiedono in pianta stabile. L’unica forza parlamentare significativa che si sottrae a questa “narrazione”, a parte i sostenitori di Michele Emiliano, è il Movimento 5 Stelle, che anzi corteggia alcuni noti pm per il suo eventuale governo prossimo venturo.
Il che rende incomprensibile il silenzio pentastellato su quanto è accaduto l’altroieri a Mosca, con l’arresto di ben 1030 manifestanti scesi nelle piazze di Mosca e di una novantina di altre città russe al seguito della Fondazione Anticorruzione del noto blogger Alexei Navalny, che intende candidarsi alle Presidenziali del 2018 contro Vladimir Putin. E da mesi martella sui social la sua campagna contro i malaffari del presidente-dittatore e del fido premier Dmitrij Medvedev, entrambi ricchi sfondati con proprietà in mezzo mondo. Navalny è stato arrestato e condannato su due piedi per manifestazione non autorizzata. Un clamoroso autogol del Cremlino, che vieppiù lo legittima come candidato anti-Putin, in un Paese dove chiunque osi presentarsi alle elezioni contro di lui finisce regolarmente in galera. Il fatto poi che in tutta la Russia, dalla Capitale a San Pietroburgo alle regioni più remote (Siberia, Urali, Estremo Oriente) decine di migliaia di cittadini (nella sola Mosca erano 7 mila) abbiano sfidato il niet del regime per manifestare pacificamente senza il permesso del Cremlino, come non avveniva dagli anni 80 prima del crollo del muro di Berlino, dimostra quanto farlocchi siano i risultati plebiscitari tanto delle elezioni quanto dei sondaggi a favore di Putin. La reazione dell’Europa è stata, al solito, molto flebile, a parte quella tedesca. Soliti fervorini della Mogherini per l’Ue e del mogherino Alfano per l’Italia.
Matteo Salvini, immemore delle analogie tra la sua Lega (anzi, di quella di Bossi) che 25 anni fa manifestava – autorizzata o meno – contro i Putin e Medvedev della Prima Repubblica, rilascia dichiarazioni demenziali, frettolosamente tradotte in dialetto padano dal cirillico: “È l’ennesima montatura mediatica. La manifestazione non era autorizzata. Ho fatto una ricerca sul personaggio in questione: un blogger anti-Putin, venduto come leader dell’opposizione. Ma che secondo le stime avrebbe solo il 3%. Insomma, è uno dei tanti che si oppone a Putin. Mi fa sorridere che Putin sia considerato un dittatore. La Russia cresce più dell’Italia. Sei mesi fa ci sono state le elezioni: ha votato il 48% dei russi ed è stato eletto democraticamente un Parlamento”. Un concentrato di assurdità e illogicità. Ma Salvini ha appena siglato un “piano di cooperazione” (economica?) col partito di Putin, che piace molto anche a FI e a mezzo Pd per nobili ragioni affaristiche (se ne occupa Antonio Padellaro a pagina 11). Resta da capire perché i 5Stelle tacciano: le manifestazioni del movimento di Navalny somigliano molto – per l’uso del web, per il tema corruzione, per le decine di piazze collegate – ai V-Day che nel 2007-2008 tennero a battesimo i M5S. Chi, se non i 5Stelle dovrebbe difendere la democrazia dal basso contro la repressione dall’alto e pretendere dal governo e dal Parlamento italiani una reazione energica contro il regime putiniano che reprime il dissenso, processa gli oppositori, arresta i manifestanti, perseguita i gay, per non parlare dei giornalisti critici che raramente hanno il privilegio di morire per cause naturali. Invece tutti zitti e Mosca.