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 2017  marzo 27 Lunedì calendario

È tornata la Rossa

MELBOURNE C’è un ragazzo-canguro per il Cavallino rampante che, dopo 553 giorni segnati dal digiuno e a volte dalla sofferenza, balza sulla vittoria. Sebastian Vettel scende dalla SF70H, accarezza la monoposto alla quale ha dato un doppio soprannome – Gina, perché un nickname deve essere affettuoso, ma anche Regina perché nel battesimo c’è pure il senso di una missione – e a saltelli si consegna al tuffo nel muro rosso della squadra schierata oltre la transenna. La Ferrari ha vinto. E ha vinto pure Sebastian, a 27 mesi di distanza dalla notte di Singapore, quando il futuro pareva dolce e così, invece, non è stato. Ha dovuto attendere troppo per il 43° centro della carriera, il numero 225 in 930 Gp della Rossa. La radio, allora, gracchia le parole della felicità. «Bravissimo, Seb: sei stato un martello», dice Maurizio Arrivabene, un team principal sollevato ma ancora sintonizzato sul basso profilo. È la miccia che accende l’entusiasmo – declamato in italiano – del pilota: «Grazie, è per tutti noi; per quelli che sono in pista e per quelli a Maranello. Grande lavoro, grande macchina. Con calma, adesso: testa bassa e piedi per terra».
È un successo di stampo «francescano» – lavoro umile e silenzioso —, che commuove: vista Britta, l’addetta stampa di Vettel, piangere come nemmeno le capitava nei giorni iridati alla Red Bull. Ed è una vittoria salutata da Sergio Marchionne con un comunicato-lampo, a conferma di quanto il presidente scalpitasse: «Era ora. Sono contento per la squadra e per i tifosi che non ci hanno mai abbandonato. Sebastian ha fatto una gran gara e sono sicuro che Kimi sarà presto a lottare con il compagno. Naturalmente è un successo da condividere con tutta la squadra. Adesso è fondamentale ricordarci che non è un punto d’arrivo, ma solo il primo passo di un lungo cammino».
Intanto è tutto vero. C’è un made in Italy che trionfa all’Albert Park: la Ferrari, il Giovinazzi che con la Sauber incanta e chiude 12°, la Pirelli che fa un figurone con le nuove gomme. Ma è la galoppata di Vettel a emergere. Si stupisce perfino Nico Rosberg, il campione del mondo fresco di ritiro che davanti alla Tv segue e twitta: «Wow, pazzesco. Sebastian ha acciuffato Lewis. #Ferrarifast». Caspita, se è vero: acciuffato in senso lato. Hamilton, in una gara che ha confermato ciò che si temeva (le monoposto del 2017 sono dei fulmini, ma l’aerodinamica esagerata impedisce i sorpassi: il duello tra Ocon, Hulkenberg e un Alonso alle corde è stato l’unico guizzo nel ritorno della Formula Noia), era scattato al comando dalla pole. Ma Vettel gli è rimasto sempre a ridosso, mentre Bottas (terzo) e Raikkonen (la nota grigia della Ferrari: il quarto posto – che farà dire ad Arrivabene che non è stato un weekend perfetto perché «lo è solo con il doppio podio» – nasce dal non aver piazzato la zampata al connazionale in avvio) si sono presto sganciati.
La resistenza di Seb è stata la premessa del trionfo, maturato quando al giro 18 la Mercedes ha richiamato Hamilton: si vuole che le gomme ultrasoft fossero alla frutta, ma forse è stata, banalmente, una fesseria. Al rientro, infatti, Lewis s’è ritrovato dietro a Verstappen, scoprendo l’amarezza dell’impotenza («Ditemi voi come posso passarlo» ha ringhiato al muretto, mentre Toto Wolff è stato sorpreso a pestare i pugni sul tavolo) e consegnandosi allo scacco matto. Vettel è rimasto fuori 6 giri in più, il pit stop è stato impeccabile e le gomme soft sono state eccellenti. Rientrato davanti al duo Verstappen-Hamilton, era chiaro che Vettel aveva la partita in mano: giusto qualche curva di sofferenza, poi l’allungo, la gestione, la bandiera a scacchi, la liberazione: «È una sorpresa positiva, sono felice di aver mandato un messaggio alla Mercedes: ci siamo. E siamo qui, soprattutto, per combattere».