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 2017  marzo 26 Domenica calendario

Depero il mago che venne dal futuro

Fortunato Depero in più di 100 opere alla Fondazione Magnani-Rocca a Mamiano di Traversetolo, presso Parma: una mostra che vuole raccontare un artista «che seppe dispensare meraviglia». Dopo decenni di semi-oblio, in molti ora provano a render giustizia a un’arte quasi sempre tenuta sotto traccia, quando non sottostimata. Come raccontava Marinetti, «magicamente Depero ha realizzato un’arte fresca di bucato, secondo l’espressione originalissima del pittore Balla, cioè un’arte monda d’ogni ruga culturale, d’ogni tortura psicologica, d’ogni filosofume».
In realtà, per stilare una sorta di resoconto del suo viaggio artistico e umano pare oggi venuto il momento di andar ben oltre quella decantata «giocosità ballerina», scordare quasi del tutto quel candore presunto che lo vuole soltanto genio-bambino, o creatore di giocattoli sia pure dotato dell’inesauribile risata dei vulcani e delle loro eruzioni creative.
Vorrei far notare come tutta l’opera di Depero oggi debba essere letta non solo come messa in scena di quello «splendore geometrico» cantato da Marinetti, e la sua figura d’artista possa fregiarsi della patente di novatore totale, un modello di artista non solo «futurista» ma davvero del «futuro», l’artista che ancora oggi urla a gran forza la propria sostanza e ambisce con molta ragione alla luce calda dei riflettori di primo piano.
Già nel 1914 Depero è profondamente consapevole del valore di un atteggiamento indirizzato a superare i limiti del fare arte soltanto quale rappresentazione del mondo e – come suggerisce nel manoscritto Complessità plastica – «gioco libero futurista» rivolto ai giovani «pazzamente temerari», a indicare un campo di ricerca e d’azione che abbia da fare con la volontà di agire nell’ambito della vita tutta, quella complessa e reale, un’anticipazione evidente di quello che si leggerà nel Manifesto Ricostruzione futurista dell’Universo scritto con Balla, pubblicato nel marzo del 1915.
Ridere apertissimamente
Per Balla si trattava di una sorta di alternativa al fenomeno Boccioni, per Depero di un vero e proprio trampolino di lancio all’interno dell’Avanguardia futurista. Il Manifesto risultò importante per gli artisti e fu invece disconosciuto dalla critica fino a non molti anni fa. Da un lato l’idea futurista basata sulla pittura e su Boccioni e quindi in molti sensi legata alla tradizione, dall’altro l’idea nuova di Balla-Depero di un’arte totalizzante e che esca dai limiti prefissati della convenzionale tradizione artistica. Insomma si finalizzava l’idea che coniuga l’arte con la vita e che quindi conduce l’arte nella vita. È molto chiaro come questo discorso ponga l’accento sulla valorizzazione delle arti applicate. Infatti dopo la pubblicazione del Manifesto in tutt’Italia iniziano a fiorire le Case d’Arte.
Da notare che il 1915 è l’anno in cui l’interventismo è particolarmente sentito; il clima politico e sociale spinge il governo a una presa di posizione contro l’Austria. Gli stessi Balla e Depero hanno parte in questo atteggiamento, Balla coi quadri, Depero e Congiullo nelle manifestazioni di piazza. Il Manifesto è in realtà molto lontano da quel clima caldo e politico, in esso si vede come le teorizzazioni estetiche sian piuttosto protese verso il domani, la città futura, verso una sorta di «artecrazia» che bandisce staticismo e silenzio e consiglia di «ridere apertissimamente». L’ironia finalmente irrompe sulla scena dell’arte.
Si può quasi dire che da quel momento prenda il via l’interesse pratico e concreto della creazione di atelier per la produzione di opere di artigianato artistico: ora si parla di Case d’Arte. Verso il 1918 sorgono un po’ ovunque. A Roma Casa Balla dal 1918 al 1920, poi la Casa d’Arte Italiana di Prampolini-Recchi (1918-1921). Quella di Anton Giulio Bragaglia che dal 1918, con annessa la Galleria degli Indipendenti e il Teatro omonimo, sarà attiva sino al 1943, ancora quella di Melli e Giannattasio, a Palermo quella di Pippo Rizzo e a Bologna quella di Tatò. Per Depero bisognerà attendere sino al 1919, anche se la sua resterà la più longeva e prolifica del panorama italiano.
L’idea basilare di tutte le varie teorizzazioni delle altrettante varie Case d’Arte sembra quella della rinnovata totalizzazione visiva. Si può cioè pensare e disegnare opere, arredi e oggetti a patto che anche il contenitore (dalle mura domestiche al mondo in toto) sia altresì rinnovato. Questo atteggiamento propone di fatto un nuovo rapporto da stabilire tra arti maggiori e minori, il desiderio di una perfetta integrazione e il riequilibrio nell’ambito delle gerarchie.
Siamo già al tema cardine che ancora oggi tenta di farsi largo tra pregiudizi interessati e di comodo. La vecchia storia della doppiezza volutamente inconciliabile tra le sfere di cultura high e low. Da un lato l’artista-sacerdote sommerso dalla cattiva letteratura, dall’altro il suo alter ego creatore-artigiano eclettico giudicato con lo scarso rispetto riservato a un banale esecutore manuale.
Insegne, vetrine, addobbi
È proprio però la manciata di anni del primo ’900 a mostrare un ardore per il superamento di quell’impasse, se già nel Manifesto del Bauhaus del 1919 Gropius incitava: «architetti, scultori, pittori, noi tutti dobbiamo tornare all’artigianato. Non c’è alcuna differenza sostanziale tra l’artista e l’artigiano». Depero certo conosceva quel testo per i suoi rapporti con la cultura tedesca, visto che persino Kurt Schwitters si mostrava entusiasta del suo lavoro e le recensioni della sua opera abbondavano su Gebrauchsgraphik.
Intanto nel 1913 a Londra membri del Bloomsbury Group, nella persona di Roger Fry, dichiarano falsa la divisione di arti decorative e belle arti. Il loro Omega Workshops localizzato al 33 di Fitzroy Square vara un vasto progetto di superamento della divisione delle discipline che – proprio come nelle Case d’Arte futuriste – aspira a una vitale integrazione delle culture espressive.
Depero proclama con tutte le forze e col suo lavoro instancabile le qualità del creatore senza pregiudizi. Si serve di teorizzazioni audaci e di gesti coraggiosi, tenta per due volte l’impossibile carta americana e la diffusione orizzontale nel mercato, abbraccia l’industria e non disdegna la poesia. Arricchisce i suoi gesti «eroici» di dettami semplici e diretti. Scrive: «Compito dei pittori creare insegne, cartelloni, vetrine, archi, addobbi...».