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 2017  marzo 26 Domenica calendario

La quieta attesa di Cassinelli, l’uomo dopo Minzo

Il fu direttorissimo ormai è un paradosso in giacca e cravatta, l’avvocato che dovrebbe subentrargli è una sfinge bonaria. Dietro alla decadenza respinta contro ogni evidenza ci sono due storie intrecciate. Quella di Augusto Minzolini, interdetto per la legge, un cittadino che non può neppure votare, eppure ancora senatore della Repubblica. E quella dell’avvocato genovese Roberto Cassinelli, ex deputato del Pdl, primo dei non eletti in Liguria per Forza Italia nel 2013, che sempre in nome della legge (finora) ignorata dovrebbe subentrare in Senato all’ex direttore del Tg1.
Quel Minzolini che oggi dovrebbe presentare le sue dimissioni, ammesso che mantenga la promessa e non giochi di ennesimo sberleffo. Ma poi le dimissioni vanno calendarizzate, e votate.
Di solito il Parlamento le respinge, più volte, restio a lasciare andare gli ospiti. Il caso del grillino Giuseppe Vacciano, a cui Palazzo Madama le ha negate quattro volte, ne è la kafkiana dimostrazione. Anche se questa volta fuori microfono dal Pd promettono il sì alla decadenza e pure in fretta: per salvare Minzolini il 16 marzo si erano schierati ben 19 senatori dem, supportati da 14 astenuti e 24 assenti (ma 7 erano in missione), suscitando la reazione pubblica di Graziano Delrio e Marianna Madia e alla fine perfino del capocordata Matteo Renzi. Irritato per il varco spalancato ai 5Stelle, soprattutto ora, in tempi di congresso del Pd.
Bisogna riparare il danno, insomma. E allora in conferenza dei capigruppo si proverà a fissare una data per l’addio. Molto più probabile però che la decisione sul calendario la voti l’Aula, e già lì sarà interessante vedere come si muoverà il Pd, con quali numeri e quanta premura di chiudere la partita. Sempre, però, con l’ultimo ostacolo (o la carta di riserva, a seconda dei sospetti) del voto segreto. Obbligatorio, quando si decide sulle dimissioni di un parlamentare.
E allora si è sempre in balìa dei condizionali. Anche se Renzi è nervosetto sul tema, alimentato pure dalla notizia che il 3 marzo 2016 Minzolini è stato cancellato dalle liste elettorali del Comune di Roma, come raccontato ieri da Repubblica, perché interdetto dai pubblici uffici. Una vicenda di cui dovrebbe occuparsi anche la giunta delle elezioni di Palazzo Madama, se i colleghi non dovessero muoversi sulle dimissioni (“ma le carte non sono ancora arrivate” spiegano membri della giunta). Chissà che ne pensa Cassinelli, il possibile sostituto, avvocato con quattro studi tra Genova, Savona, Milano e Roma, in gioventù nel Partito liberale, poi forzista della prima ora. Il Fatto prova a chiederglielo, e lui, pur gentilissimo, schiva: “Mi astengo dal commentare il caso di Augusto Minzolini, sa, per un fatto di stile… Il presidente della Giunta per le elezioni Stefàno mi aveva convocato a Roma, ma io non sono andato, gli ho mandato una lettera per spiegargli che preferisco rimanere uno spettatore in questa vicenda”. Peccato, perché il caso è di grande interesse anche dal punto di vista giuridico… Ma Cassinelli dribbla ancora: “Io sono un civilista, non mi occupo di diritto costituzionale”. Però rivendica: “Da deputato sono stato il relatore della riforma dell’ordinamento della professione forense. E mi sento sempre di Forza Italia”.
Però riavvolgendo il nastro si torna alle parole di Cassinelli del 13 novembre 2015, poche ore dopo la condanna in Cassazione di Minzolini. Dichiarò all’emittente ligure Primo Canale, il civilista, e quella volta fu drastico: “Sono dispiaciuto sul piano personale per il senatore Minzolini: ci siamo sentiti un paio di volte occasionalmente nel corso del suo mandato, il suo impegno era tutto indirizzato sulla politica nazionale con scarsa attenzione per il territorio che lo aveva eletto”. Sillabe con cui Cassinelli, già vice-coordinatore regionale di Fi, poi coordinatore genovese, marcava le distanze dal parlamentare “catapultato” da Roma per tornare a Roma. Con tanti saluti alla Liguria, serbatoio di voti berlusconiani. Un anno e mezzo dopo, Cassinelli aspetta. “Penso al mio lavoro, è la mia passione” giura. Mentre Minzolini è ancora lì in Senato, a giocarsela di sponda con malumori e imbarazzi politici. Sempre sulla porta, con lo sguardo di chi non ha fretta di salutare.