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 2017  marzo 26 Domenica calendario

Il quarantaseiesimo presidente

Mercoledì 22 marzo, quando Donald Trump ha dichiarato che «la maggior parte degli americani non sa che Lincoln era repubblicano», ha suscitato un certo scoramento tra gli storici e gli osservatori della politica (il partito repubblicano è anche chiamato, molto spesso, «il partito di Lincoln») ma è indubbio che il cinema è un’arma mediatica tanto potente da far sì, per esempio, che forse siano più gli americani che ricordano Daniel Day-Lewis nei panni di Lincoln nel film di Spielberg (2012) di quelli che conoscono il partito d’appartenenza. Il rapporto tra Hollywood e i presidenti (45 nella realtà) è storicamente strettissimo: andando all’indietro nel tempo si trovano tanti esempi di presidenti trasformati in personaggi cinematografici (di attore diventato presidente invece ce n’è uno solo, Ronald Reagan: Trump è la prima star dei reality show ad arrivare alla Casa Bianca, invece).
Nel 2013 The Butler ha regalato agli spettatori una parata presidenziale: Robin Williams, in una delle sue ultime interpretazioni, era un bonario Dwight Eisenhower, James Marsden un John Kennedy un po’ troppo belloccio (lo scultoreo Marsden è un ex modello, famoso come volto e corpo delle campagne Versace) e un po’ troppo carismatico, Liev Schreiber – irriconoscibile – un Lyndon Johnson un po’ macchiettistico (molto più bravo Bryan Cranston, che l’ha interpretato a Broadway e in un film tv), John Cusack un bizzarro Richard Nixon (i riferimenti restano Anthony Hopkins, accento traballante a parte, nel Nixon di Oliver Stone del 1995 e Frank Langella nel Frost/Nixon cinematografico del 2008), e l’inglese Alan Rickman sorprendentemente a suo agio nei panni di Ronald Reagan (re-interpretazione più che mimesi, d’altronde la somiglianza tra i due è minima).
Nel 1998 Bill Clinton, quando era ancora alla Casa Bianca e poco prima dell’ impeachment, fu protagonista di un film interpretato da John Travolta: Primary Colors. I colori della vittoria, strettamente ispirato alle vicende della coppia Bill-Hillary. Di diverso c’erano solo i nomi dei personaggi (Jack Stanton) e qualche dettaglio, ma era farina del sacco di Joe Klein, famoso giornalista politico che aveva seguito da vicino la campagna clintoniana del 1992 che lo portò alla Casa Bianca.
Il problema del verosimile, quando si parla di presidenti al cinema, è sempre il più delicato: è ovviamente più semplice dare corpo e voce a qualcuno che abbiamo visto solo nei quadri dell’epoca, o magari su qualche dagherrotipo, rispetto ai presidenti degli ultimi decenni che abbiamo visto e sentito in tv. Intelligente Nick Nolte a regalare nel 1995 ( Jefferson in Paris ) un ritratto complesso del presidente-filosofo illuminista e al tempo stesso schiavista (e innamorato della schiava Sally Hemmings) ma non aveva ovviamente il problema degli attori che interpretano Kennedy, che tutti conoscono dai filmati d’epoca.
Daniel Day-Lewis per esempio fece discutere dando a Lincoln una voce sottile e rauca: molti pensarono a una scelta sbagliata ma aveva ragione lui. Lincoln, altissimo, dicono le cronache dell’epoca, aveva però una voce sottile. Il problema è che gli attori che avevano interpretato Lincoln prima di Day-Lewis – tra i tanti, Gregory Peck e Sam Waterston – gli avevano regalato toni caldi e profondi, autorevoli. Da profeta. E allora meglio documentarsi come fece Day-Lewis o re-interpretare?
L’anno scorso la garbata commedia romantica Southside with You ha raccontato il primo appuntamento di Barack e Michelle Obama. Lui (Parker Sawyers) somigliantissimo e con molti manierismi simili; lei (Tika Sumpter) meno somigliante ma più attrice. Era più efficace lei.