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 2017  marzo 26 Domenica calendario

Il pesce drago pagato 300 mila dollari

Una volta, in Birmania, mi è capitato di trovare un pesce molto colorato nell’acquario di un’abitazione di un villaggio non lontano da Bagan. Dal colore acceso e inafferrabile, almeno non con una sola parola, questo pesce di circa novanta centimetri è allevato in Sudest asiatico perché viatico di antiche leggende e credenze popolari: finché è in salute lui, si dice, sarà in salute anche il suo proprietario. Si chiama Scleropages formosus, più comunemente noto come pesce drago, e appartiene alla famiglia dei Osteoglossidae: pesci accomunati da una grande testa ossuta e due occhi capaci di ruotare. 
Col corpo pieno di squame, tanto da far sembrare la pelle una corazza, questo pesce rinchiuso nell’acquario è costretto a quella che Jacques Derrida, proprio pensando ai pesci, chiamava «la pazienza dell’impazienza»: mi osservava, o forse no, e intanto ruotava nervosamente su se stesso detenendo, inconsapevole, anche la salute dell’abitante del villaggio che mi aveva invitato per una tisana. 
I pesci drago, nonostante le mitologie da cui sono circondati, vivono uno strano paradosso: compressi sul dorso, perché amanti della superficie, sono ormai rarissimi in cattività tanto da essere considerati specie protetta in pericolo di estinzione. Amanti delle zone umide ma non paludose, dopo il prosciugamento seriale di questi luoghi per fare spazio all’agricoltura, sono ormai privi di habitat: l’acquario, che è una gabbia trasparente e senza sbarre, sembra essere l’unico posto dove è possibile incontrare i pesci drago (con delle difficoltà: le vasche devono essere grandi e questi pesci si nutrono solo di altri pesci vivi, tenendo sempre più rara la pratica di tutela nei loro confronti). 
L’estinzione di una specie è la perdita di un pezzo di storia di cui spesso non sappiamo nulla, ma è soprattutto una scomparsa di microcosmi e di atmosfere aliene alle nostre che cedono sotto il peso di una trasformazione perenne degli spazi che tende a diminuire il valore e la forza della biodiversità su questo pianeta. L’etologia ha questo compito: creare una porta d’accesso, per quanto limitata, a queste esperienze così diverse dalle nostre ma a cui siamo così distrattamente vicini. 
Il pesce drago, incubatore orale di uova e grande saltatore (fino a due metri dalla superficie), è uno di questi mondi che rischia di scomparire senza più poter essere protetto neanche dai sogni e dalle superstizioni dell’antica Asia (che, per inciso, hanno spesso avuto effetti più concreti di tanta ecologia scientifica). Nel suo bellissimo Volare (Codice, 2017), il naturalista Noah Strycker racconta la sua vita da ornitologo e dice una cosa che fa al caso del pesce drago ormai così in pericolo di scomparire: «Ognuno di questi individui possiede uno straordinario senso del mondo»; osservare e preoccuparsi per un pesce drago, chiuso in un acquario del Myanmar, ambasciatore imprigionato di una specie in allerta, in fondo è un modo per cercare di cogliere qualcosa di questo senso del mondo alieno al nostro di cui parla Strycker. Qualcuno si consolerà, maldestramente, pensando che il pesce drago è il pesce più costoso al mondo e che questa sua esclusività, che portò un esemplare a essere comprato per 300 mila dollari da un dirigente del Partito comunista cinese, sia un modo per prendersene cura: la soluzione, al contrario, sta nel finirla di considerare oggetto ciò che esprime un soggetto.