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 2017  marzo 26 Domenica calendario

Come leggere il documento

«Nella dichiarazione che firmiamo oggi ognuno di noi ha rinunciato a qualcosa, è lo spirito giusto per ripartire», dice Paolo Gentiloni, al termine della cerimonia nella sala degli Orazi e Curiazi. E in verità, il documento che celebra i 60 anni dei Trattati di Roma è il frutto di un lungo e complesso lavoro di mediazione, che fino all’ultimo ha rischiato di fallire di fronte ai veti e alle rivendicazioni di alcuni governi, in particolare Grecia e Polonia. Il risultato finale è un miracolo di equilibrio, la cui importanza non può essere sottovalutata: «Abbiamo ritrovato la fiducia in un progetto comune», ha commentato il presidente del Consiglio. Ma la dichiarazione di Roma non può evitare il prezzo di alcune ambiguità e vaghezze, che nei momenti fatali torneranno a complicare sviluppi e passi in avanti del progetto europeo.
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«Noi, leader dei 27 Stati membri...».
Assente Theresa May, è la prima volta che un documento ufficiale dà per acquisita l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue.
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«... una comunità di pace, libertà, democrazia, fondata sui diritti umani e lo Stato di diritto, una grande potenza economica che può vantare livelli senza pari di protezione sociale e welfare».
La frase rivendica in positivo le conquiste dell’Europa, risorta dalle distruzioni causate dai nazionalismi. Il riferimento al welfare e alla protezione sociale è stato aggiunto su richiesta della Grecia. In quello a diritti umani e Stato di diritto c’è un messaggio sotto traccia alle sbandate autoritarie in atto in Ungheria e Polonia.
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«... sfide senza precedenti, sia a livello mondiale che al suo interno».
L’elenco è cambiato ed è più lungo, rispetto a Berlino, 10 anni fa, quando l’Ue celebrò i suoi 50 anni: conflitti regionali, terrorismo, migrazioni, ma anche protezionismo (leggi Donald Trump) e disuguaglianze sociali ed economiche, quest’ultimo riferimento ancora inserito su richiesta greca. I leader si dicono determinati ad affrontare le sfide del mondo che cambia. «Insieme», è stato aggiunto nella versione finale.
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«Renderemo l’Ue più forte e più resiliente, attraverso una unità e una solidarietà ancora maggiori, nel rispetto di regole comuni. L’unità è sia una necessità che una nostra libera scelta...»
È il messaggio centrale del vertice di Roma, la risposta dovuta alla minaccia esistenziale innescata dalla Brexit: unità. C’è perfino il recupero in versione «light» della «unione sempre più stretta» prevista dal Trattato di Roma. La solidarietà e il rispetto delle regole rammentano a chi di dovere che gli oneri vanno ripartiti (leggi i rifugiati) e gli obblighi assolti (leggi i vincoli di bilancio).
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«Agiremo congiuntamente, a ritmi e con intensità diversi se necessario, ma sempre procedendo nella stessa direzione, come abbiamo fatto in passato in linea con i trattati e lasciando la porta aperta a coloro che desiderano associarsi successivamente. La nostra Unione è indivisa e indivisibile».
Le «diverse velocità» non hanno trovato esplicito riferimento nella dichiarazione, ma si potrà fare di più e più celermente a gruppi, sia pur «se necessario» e non «ovunque possibile» come nella versione iniziale. Muovendosi però sempre nella stessa direzione, frase aggiunta alla prima stesura, cioè senza abbandonare chi non può o non vuole starci e dandogli comunque la possibilità di ripensarci. Era il punto più delicato, il compromesso mitiga le paure dei Paesi dell’Est, ma lascia aperti molti interrogativi.
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«Un’Europa sicura..., dove tutti i cittadini... possano spostarsi liberamente, in cui le frontiere esterne siano protette, con una politica migratoria efficace, responsabile, sostenibile, nel rispetto delle norme internazionali...».
A Berlino, dieci anni fa, le frontiere erano «aperte», oggi lo sono ancora all’interno, ma l’ora è quella di impedire il caos di nuove ondate migratorie senza regole.
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«Un’Europa prospera e sostenibile: un’Unione che generi crescita e occupazione... e una moneta unica stabile e ancora più forte...».
L’accento sulla crescita, fortemente voluto da Italia e Francia, viene bilanciato con il concetto di sostenibilità, «attraverso investimenti e riforme strutturali». Quelle che i Paesi del Sud faticano a fare o fanno a rilento.
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«Un’Europa sociale...che sulla base di una crescita sostenibile favorisca la coesione e la convergenza... che tenga conto della diversità dei sistemi nazionali e del ruolo delle parti sociali... che promuova la parità tra donne e uomini e diritti e pari opportunità per tutti... che lotti contro la disoccupazione, la discriminazione, l’esclusione sociale, la povertà...».
C’è n’è un po’ per tutti. Per i ricchi Paesi del Nord, che legano il progresso sociale alla crescita sostenibile (cioè non solo alla spesa pubblica). Per quelli dell’Est, che non vogliono rinunciare al loro «dumping» sociale fatto di bassi salari e scarse garanzie. Per la Grecia, che ha chiesto di inserire la lotta alla disoccupazione. Il passaggio sulle pari opportunità ha un retroscena: la versione originale parlava infatti di «parità di genere» ma su richiesta di alcuni Paesi è stata cambiata in favore della «parità tra uomini e donne».
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«Un’Europa più forte sulla scena globale...».
L’Europa della Difesa si farà, ma sarà complementare e non alternativa alla Nato.
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«... sistema multilaterale, commercio libero ed equo e una politica climatica globale positiva».
Tre riferimenti che sembrano (e probabilmente sono) fatti apposta per mandare in bestia Donald Trump.
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«... Ci impegniamo a dare ascolto alle preoccupazioni espresse dai nostri cittadini... Promuoveremo un processo decisionale democratico, efficace, trasparente, e risultati migliori».
È la risposta ai populismi. Se, come conclude la dichiarazione, «L’Europa è il nostro futuro comune», è nel cuore dei suoi popoli che deve rimettere radici. «Ci siamo uniti per un buon fine», dicono i leader. Se non mantengono la promessa, la parola fine sarà identica, ma avrà un altro significato.