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 2017  marzo 20 Lunedì calendario

Sudtirolo, salta la pace dei cartelli italiani e tedeschi in lite per i nomi

BOLZANO Dopo quasi cento anni in Sudtirolo il nome dei luoghi torna a separare gli italiani dai tedeschi. Il muro linguistico alzato dal fascismo, fino a pochi giorni fa, sembrava a un passo dall’essere abbattuto. Il Novecento, anche in provincia di Bolzano, stava finalmente per chiudersi: una mano tesa dalle autonomie allo Stato, ma pure dal nostro Paese all’Europa. Alla prepotenza invece, quando economicamente rende, con il tempo si tende ad affezionarsi. Lo storico “patto sulla toponomastica”, che da mesi mobilita accademici italiani e stranieri, spingendo Senato e Camera a raccogliere firme per «salvare la cultura italiana in Alto Adige», all’ultimo istante è saltato. Si potrebbe riprovare il 23 marzo, prima di affidare ad un governo “sensibile” e al presidente della Repubblica l’onore di annunciare che le Regioni a statuto speciale non si riducono a un vuoto privilegio. Tra le Dolomiti però la coloniale guerra dei nomi ormai è riesplosa, il vento dell’odio politico ha ripreso a soffiare, nessuno vuole, o forse può, imporre una giustizia. «Sembrerebbe ovvio – dice lo scrittore Joseph Zoderer – concordare che dopo un secolo italiani, tedeschi e ladini del Sudtirolo hanno il diritto di chiamare i luoghi come sentono più affettuoso. Invece il passo tra la coesistenza e la convivenza non è stato fatto. Se la pace non viene eletta a valore condiviso e il rancore liquida puntualmente ricchi dividendi, quattro generazioni non bastano a rimarginare le ferite dei conflitti».
All’improvviso gli italiani si sono risvegliati “Walscher” e i tedeschi “crucchi”, ognuno straniero in casa propria. A spaccare in due una delle terre più ricche dell’Occidente, con il 16% del Pil garantito dal turismo internazionale e dal marchio Unesco, sono oggi proprio i nomi della “Grande bellezza”: sentieri, vette, castelli, alpeggi, ruscelli, malghe. Per ordine di Mussolini, deciso a italianizzare il Sudtirolo, su oltre 170 mila toponimi originari tedeschi, l’irredentista Ettore Tolomei ne impose circa 8 mila nuovi in italiano. Nel 1946, grazie ad Alcide de Gasperi, fu ripristinato almeno il bilinguismo. Nell’ultimo decennio i segnali alpinistici con il doppio toponimo hanno però cominciato a sparire, sostituiti con cartelli solo in tedesco. La rivolta dei nostalgici nazionalisti italiani, sfociata in un ricorso alla Consulta, ha infiammato il razzismo degli xenofobi separatisti tedeschi: il Sudtirolo è tornato ostaggio della violenza retorica che lo ha sconvolto dopo il 1918. Era così apparso un miracolo l’annunciato accordo tra gli irriducibili della convivenza, incoraggiato dal presidente Sergio Mattarella e possibile grazie al compromesso tra Volkspartei e Pd. Il gruppo tedesco ha riconosciuto il valore storico dei toponimi italiani entrati nell’uso comune, garantendo la loro legittimità. Il gruppo italiano ha accettato che i nomi originari, mai italianizzati, restino solo tali. La lista dei toponimi contestati verrebbe affidata al giudizio dei tecnici, rappresentati alla pari. «Una mediazione epocale – dice il re degli Ottomila Reinhold Messner – e il suo fallimento per la prima volta mi costringe a dire che mi vergogno di essere sudtirolese. La guerra ora è su 100 toponimi di montagne e vallette alpine, poi ridotti a 32. Illustri intellettuali, tratti in inganno, si spendono per salvare lingua e nomi italiani che in Alto Adige nessuno si sogna di mettere in discussione. Ci consideravano un modello per la convivenza, siamo diventati una barzelletta mondiale. Si è arrivati a dire che in pericolo sarebbe la sicurezza degli alpinisti e la possibilità di orientarsi dei turisti. Spero che nessuno abbia più il coraggio di evocare l’immagine di Alex Langer».
Se lo scontro sui nomi incisi sopra i segnali d’alta quota sostituisce il filo spinato, le epurazioni e le bombe che nel Novecento hanno devastato il Sudtirolo, significa che la pace qui resta solo una, ben retribuita, recita collettiva. Alessandro Urzì, leader della destra italiana, parla di «mattanza identitaria» e di «nuova pulizia etnica». La pasionaria Eva Klotz e Pius Leitner, eroi per Schuetzen e pantirolesi, incitano all’autodeterminazione. Dieci anni fa gli sponsor del conflitto permanente avevano quattro consiglieri provinciali: oggi sono dieci. Ancora minoranza, ma di fatto al comando sui temi cruciali. Asili e scuole restano separati, lavoro e welfare impongono la dichiarazione di appartenenza a un gruppo etnico. Un micro-mondo diviso: solo la Caritas ha avuto il coraggio di riunire tedeschi, italiani e ladini, scegliendo un direttore unico, l’italofono Paolo Valente. «E il paradosso – dice lo storico Arnold Tribus, direttore della Tageszeiutung – è che la popolazione in realtà è molto più avanti dei suoi rappresentanti. Di toponomastica non vuole più sentirne parlare. Italiani e tedeschi si sposano anche nei masi più isolati. I giovani parlano inglese e girano il mondo. Qui stiamo tutti bene e viviamo in pace: fino al momento in cui i professionisti del disagio e della paura non agitano scientificamente gli spettri del passato».
Bruxelles, Roma e Vienna sono in allarme e diffidano delle minimizzazioni. Il timore non riguarda il rivelatore fallimento sulla toponomastica, ma l’implosione del «sistema Alto Adige», icona della pacificazione europea. Se riprendere a chiamare «Cima Lasta» solo «Astjoch» destabilizza il confine del Brennero, miliardi di euro in finanziamenti pubblici sono stati buttati per 70 anni e a rischio finisce l’intera sicurezza Ue. «Dobbiamo prendere atto – dice il giurista Francesco Palermo, anima dell’accordo sui toponimi – che il complesso d’inferiorità degli italiani non è superato, come il razzismo etnico di molti tedeschi. Solo l’egoismo è bilingue. Umilia sapere che uno scatto di generosità basterebbe per portare tutti nel futuro».
L’altoatesino più famoso nel mondo e più venerato a Bolzano è Oetzi, l’Uomo del Similaun. È riemerso dal ghiaccio dopo millenni sul passo Hauslabjoch, toponimo mai tradotto in italiano. È una mummia: fino a ieri sembrava una metafora del presente sudtirolese, oggi minaccia di trasformarsi nella disperata profezia di un destino.