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 2017  febbraio 27 Lunedì calendario

Editoria scottata dalla crisi. Ma riparte (così)

Book is back, dicono gli inglesi. E forse non è il caso, pur di giocare con le assonanze, di esultare così senza rete. Però sì, è vero: il libro è tornato. Il libro di carta, soprattutto. Con mille distinguo, altrettante eccezioni e qualche cautela, magari, ma adesso si può dire. Il mercato è in ripresa. In Italia, in molti Paesi europei, negli Stati Uniti, almeno davanti alle cifre di vendita è riapparso il segno più.
I casi apertiNon significa che gli editori si siano lasciati alla spalle una crisi che, ovunque, ha falcidiato fatturati e utili e per qualcuno continua. Per dire: il colosso britannico Pearson – colosso sul serio: sente sempre più sul collo il fiato della canadese Thomson Reuters ma è ancora il numero uno al mondo – ha da poco lanciato un secondo, pesantissimo profit warning, affondato dalla discesa infinita della divisione education americana.
È comunque un’altra storia, questa di Pearson e dell’editoria scolastica negli Stati Uniti, che al gruppo guidato da John Fallon dà (dava?) il 60 per cento dei ricavi e dei profitti, ma grazie a prezzi di copertina da far fuggire in massa gli studenti. Un disastro in sé, una catastrofe anche borsistica quando si è scoperto che il piano di traghettamento al digitale si è già incagliato. Solo nell’ultimo trimestre 2016, la divisione«education»Usa ha perso il 30 per cento del suo volume d’affari.
È un caso limite, per fortuna degli editori. E, com’è evidente, molto particolare. Dopodiché, forse proprio il fatto che il principale attore dell’universo publishing sia anche il suo malato più serio racconta qualcosa sulla crescita ritrovata. La mette ancor più in evidenza, intanto. Fuori dal caso Pearson e dal mercato della scolastica, quando si entra nel mondo in cui è il lettore a scegliere se comprare o no un nuovo romanzo o una nuova biografia, se un thriller o un saggio meritano la spesa, se un classico della narrativa non valga il prezzo di un’edizione rilegata anziché i pochi euro di un tascabile, ecco: è lì che i segnali di ripresa si vedono, concreti, almeno nei Paesi che hanno già presentato i dati 2016. È lì, ancora, che si prende finalmente la rivincita soprattutto il libro di carta.
Vitalità
L’avevano – l’avevamo – dato per morto, ucciso dagli e-book come la e-music ha ucciso il vinile dei vecchi long playing. Non è così. La prova è che il presunto assassino, Jeff Bezos con Amazon, segna un’altra volta la tendenza partendo all’assalto di libri e librerie «fisiche» (vedi l’articolo a fondo pagina, ndr). È però solo in parte grazie a questo se, negli Usa, le vendite sono salite del 3,3%. Tant’è che anche nella patria di Pearson, la Gran Bretagna, la performance è del 2,3 per cento. O che, dall’altra parte della Manica, la Francia ha se non altro smesso di perdere. E la Russia, se deve molto all’aumento dei prezzi, mette comunque in bilancio un +8 per cento.
Da noi
L’Italia, per una volta, non è proprio il fanalino di coda (e, seconda sorpresa: siamo anche i più veloci nell’elaborazione dei dati e nelle analisi, con Gianni Peresson e l’ufficio studi dell’Associazione italiana editori). Le vendite di libri in tutte le varie forme, dunque e-book e audiolibri inclusi, tornano a salire del 2,3 per cento, portando i ricavi a 1,283 miliardi (diventano tre con l’editoria scolastica).
E se non è una novità il fatto che il contributo maggiore venga dalla carta – certo: gli e-reader sono utilizzati da un italiano su dieci, ma noi siamo tra quanti preferiscono sfogliare pagine vere e, dopo le mosse americane di Bezos, nessuno ci darà più dei démodé – il ritorno alla crescita non era scontato. Invece c’è. Gli 1,221 miliardi di ricavi significano un incremento dell’1,6 per cento. Senza contare i libri (fisici) distribuiti da Amazon, che non fornisce i suoi dati ma che l’Aie stima attorno al 10 per cento del mercato: e con i suoi 120 milioni si arriva a un fatturato «cartaceo» totale di 1,337 milioni.
Poi sì, accanto alle luci ci sono le ombre. Non di poco conto. Passi il calo delle copie vendute, che si fermano a 87,5 milioni: quello lo si può compensare con aumenti dei prezzi di copertina, senza troppi contraccolpi. Il problema grosso è lo stesso di sempre. Indovinato? Siamo un popolo che non legge. E anche quel po’, è via via di meno: c’erano 24 milioni di lettori nel 2015, in un anno se ne sono persi altri 700 mila.
Consolidamento
È una ragione ulteriore a conferma della nuova legge cui deve obbedire il settore. Consolidamento. Vale (e succede) in tutto il mondo. In Italia di più, fatte salve le nicchie delle piccole case con un brand forte e lettori mirati (dunque fedeli). E del resto è quel che sta accadendo in tutta l’editoria. La vendita di Rcs Libri a Mondadori, l’acquisto di Rcs Mediagroup (cui fa capo il Corriere ) da parte di Cairo Communication, il matrimonio Stampa-Secolo e poi Stampa-Repubblica sono sì la risposta obbligata a una crisi in alcuni casi strutturale.
Ma sono, in parallelo e soprattutto, prove di ritorno a una vitalità che gli editori avevano dimenticato da anni.