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 2017  febbraio 23 Giovedì calendario

«Bullizzata perché eterosessuale». L’accusa di Candice al basket Usa

Dal parquet, Candice ha avuto tutto. Terza scelta di Stanford nel draft 2008, oro Under 18 con gli Usa al Fiba Americas Championships, un anello con le Minnesota Lynx nel 2011. Rispetto all’apparizione, breve ma intensa, di Marion Jones nella Wnba – la lega professionistica di basket femminile che l’ex regina dopata dell’atletica mondiale provò ad usare come candeggina per la coscienza —, Candice Wiggins da Baltimora, 30 anni, figlia di Alan seconda base negli Orioles, si è regalata otto stagioni di pallacanestro ad alto livello. Ultimo match il 22 marzo 2016. Alla vigilia, scrive una lettera aperta al The Players Tribune : «Non so spiegare quanto rispetto ho per le donne che giocano a basket undici mesi all’anno per un decennio...».
Sembra una storia americana di sport e riscatto: la bambina che a 3 anni rischiò di perdere un occhio in un incidente stradale (la cicatrice è ancora lì, sulla tempia sinistra), diventata reginetta del canestro. Ma meno di un anno dopo, Candice racconta una realtà ben diversa: «In un ambiente composto al 98% da omosessuali, che a forza di confrontarsi con gli uomini finiscono per comportarsi come loro», lei – eterosessuale – si è sentita «diversa e bullizzata da una cultura dominante conformista, alla fine diventata tossica». Annunciando l’uscita di un libro-biografia, la Wiggins si è sfogata in un’intervista al San Diego Union Tribune : «Nella Wnba nulla ha corrisposto ai miei sogni. Il messaggio era: noi sappiamo chi sei e non ci piaci». In un clima pesante, eterofobico, ha citato episodi in cui non solo le avversarie ma anche le compagne entravano duro su di lei: «C’era un’assurda gelosia. Cercavano di farmi male in ogni modo. Non mi sono mai sentita insultare tanto». Quel ritiro così repentino, quindi, era una fuga: «Non ne potevo più. Non è un caso che dopo vent’anni la Wnba negli Usa non abbia visibilità né pubblico».
Della lega fondata nel 1997, nostra signora dei canestri Catarina Pollini fu pioniera. Nelle Houston Comets vinse il primo anello della storia: «Ricordo una realtà molto dura rispetto all’ambiente famigliare del basket europeo – racconta dalla Spagna, dove vive —. La sessualità delle mie compagne non era importante per me. Parolacce? Ne dicevamo di più a Vicenza!». Laura Macchi ha giocato una stagione a Los Angeles («L’ambiente era libertino ma di certo non aggressivo né discriminatorio: sarà perché avevo 24 anni ed ero stata presa sotto l’ala protettiva di Lisa Leslie, il totem della squadra»), Francesca Zara a Seattle («Mi colpì l’enorme cultura del basket. L’ambiente era molto omosessuale ma aperto, con dinamiche goliardiche, per nulla tossico»). Nessuna delle italiane d’esportazione ha portato a casa la testimonianza drammatica della Wiggins, criticata da Imani Boyette, centro delle Chicago Sky: «Getti fango sul mondo nel quale hai costruito la tua carriera. Mi hai fatto male».
«È la mia esperienza – ribadisce Candice —. È come questa storia l’ho vissuta io».