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 2017  febbraio 16 Giovedì calendario

Smartphone in classe, la giungla dei divieti. Ma fra i prof c’è chi dice: «Utili come un tablet»

ROMA Se nelle scuole di Perugia una telefonata ti salva la vita, in quelle di Treviso manda un preside in tribunale. La diatriba se il cellulare si può usare o meno in classe è vecchia quanto la diffusione dei telefonini e il problema non è tanto il trillo inopportuno all’arrivo del messaggio, quanto le mille distrazioni che ormai ogni smartphone offre agli alunni. Così, se nel liceo classico dell’Umbria colpita dallo sciame sismico agli studenti è stato consigliato di tenere i cellulari accesi e a portata di mano sul banco, in caso si debba scappare in fretta, in uno scientifico di Treviso l’insegnante che ne ha sequestrato uno a fine gennaio è stato denunciato dai genitori dello studente.
Vale quasi tutto, perché non esiste (e come spiegano i presidi non può esistere) una norma unica per tutta Italia. Le ultime «indicazioni in materia di utilizzo di telefoni cellulari (…) durante l’attività didattica», comprese di «dovere di vigilanza e di corresponsabilità dei genitori e dei docenti» le ha fornite nel 2007 l’allora ministro Giuseppe Fioroni. Fatta salva l’autonomia scolastica, che demanda al regolamento d’istituto di stabilire le norme specifiche, il ministro invitava i docenti a vigilare sui problemi di privacy e sulla distrazione causati dall’uso dei cellulari a scuola.
A dieci anni di distanza, le occasioni di distogliere lo sguardo dalla lavagna per posarlo sullo schermo sono cresciute di pari passo con il potenziale didattico degli smartphone. La regola del «si spengono durante la lezione» non è più scontata. Un sondaggio su alcune scuole di Roma indica che alle medie spesso i cellulari vengono ritirati all’ingresso in classe e restituiti al suono della campanella, mentre nelle scuole superiori si va dal divieto totale all’uso controllato durante le esercitazioni per fare ricerche su Internet. Non sfugge ai docenti che inserire gli smartphone tra gli strumenti didattici è più utile che demonizzarli. «Sono un’arma a doppio taglio – osserva Antonella Bontae, docente di matematica dell’Istituto Tecnico Commerciale e Tecnologico Fossati-Da Passano di La Spezia – da un lato è indubbio che sono una fonte di distrazione, ma dall’altro sono dei piccoli tablet, cioè innovazioni tecnologiche il cui uso è promosso dalla scuola. Basti pensare all’utilità di una cartella condivisa, sempre a disposizione sullo smartphone, in cui studenti e insegnanti possono archiviare il lavoro, creare un archivio delle lezioni, avere insomma un quaderno digitale. Anche Internet è una risorsa, le prove Invalsi degli anni passati sono tutte disponibili online e gli studenti possono esercitarsi. E ad esempio – conclude l’insegnante – accade spesso che alla fine della spiegazione i ragazzi mi chiedano di fare una foto dello schema elaborato alla lavagna. Credo che stia all’insegnante stabilire delle regole e vigilare perché siano rispettate. Come sempre».
Docenti e presidi hanno un quadro ben più chiaro dei pro e contro delle loro decisioni, anche rispetto a studenti ribelli e avvocati battaglieri. «Qualche tempo fa sono stato chiamato dai carabinieri, allarmati perché una madre intendeva sporgere denuncia visto che avevo sequestrato il cellulare al figlio – racconta Valerio Vagnoli, Preside dell’alberghiero Sassi di Firenze – ma la mia risposta è stata chiara: “Faccia pure, la signora ha sottoscritto il regolamento d’istituto”. Noi sequestriamo l’apparecchio se c’è un uso improprio, ma affidiamo la sim card ai ragazzi per questioni di privacy».
Le regole insomma esistono, anche se diverse da scuola a scuola, «e non ne servono altre stabilite dal ministero – puntualizza Giorgio Rembado, presidente dell’Associazione nazionale presidi – Abbiamo anche troppe normative, tali da imbrigliare le autonomie scolastiche. L’uso dei cellulari in classe è una materia di totale pertinenza del regolamento di ogni singola scuola, che viene stilato sulle indicazioni del collegio docenti e approvato dal consiglio d’istituto, composto da rappresentanti di tutte le parti. Indicazioni del Miur non darebbero maggiori tutele in caso di denuncia».