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 2017  febbraio 15 Mercoledì calendario

Il liberalismo dal volto umano di Carlo Antoni

Nella «madre di tutte le battaglie» tra la filosofia continentale e quella analitica c’è stato un attore speciale. Ovvero il variegato pensiero del Novecento italiano, tra l’antagonista Italian Theory (divenuta una formula da esportazione di successo), numerose figure eccentriche e un combattivo filone di orientamento liberista. Come nel caso del triestino Carlo Antoni (1896-1959), interprete di una «terza via» tra Benedetto Croce (di cui fu allievo) e Luigi Einaudi, e di una ulteriore fra il liberalismo conservatore e l’azionismo, oggetto di riscoperta recente da parte del giovane studioso Francesco Postorino. Nel suo Carlo Antoni.
Un filosofo liberista
(Rubbettino, pp. 162, euro 14) ne rintraccia la specificità in una idea di libertà inseparabile dalla dimensione dell’intrapresa economica e in una concezione dell’agire economico quale manifestazione dello stesso «spirito» dell’individuo, che lo indussero a entrare nel gruppo dei fondatori della Mont Pelerin Society, anche se rimproverava agli intellettuali della scuola austriaca l’economicismo e riteneva Hayek succube del «fascino indiscreto» dell’utilitarismo.
Azione economica doveva infatti significare promozione della condotta morale (il liberismo nell’accezione di Adam Smith), mentre il welfare pubblico comprimeva la spontaneità e la vitalità degli individui che costituivano appunto il bene etico supremo. E, dunque, liberale e liberista poiché rifiutava il collettivismo e il burocratismo, e dello statalismo non tollerava l’approccio paternalista (di cui scorgeva traccia nel pensiero crociano), anche se non disconosceva affatto la funzione dello Stato.
Una figura interessante pure nella biografia quella di Antoni: combattente nell’esercito italiano nella prima guerra mondiale (sospinto da idealità giovanili risorgimentali), collaboratore de Il Resto del Carlino e de La Stampa, antifascista e resistente durante la seconda, cattedratico de La Sapienza, vice-presidente dell’Associazione per la libertà della cultura (nel ’53), transfuga del Partito liberale insieme all’amico Mario Pannunzio verso l’approdo della fondazione di quello radicale.
Mai liberalsocialista (anche se, nella lettura di Postorino, emergono alcune sintonie con l’ispirazione di De Ruggiero, Omodeo e Calogero), ma neppure un neoliberista hard. Sempre e solo liberal-liberista.