Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  febbraio 13 Lunedì calendario

Libia 1911-12, pessime sorprese per le ambizioni coloniali

Libia: ex colonia di un’Italia che la sognò parte di se stessa a continuità del Risorgimento. Un secolo fa la volevamo invadere e annettere (alla fine ci riuscimmo) quale elemento imprescindibile dell’identità nazionale. Oggi speriamo che riesca a darsi un governo forte, autonomo, capace di chiuderla e separarla da noi con il suo fardello ingombrante d’umanità vagante e sradicata.
In questi mesi in cui l’Europa, con l’Italia per forza di cose in prima fila, fa carte false pur di trovare un’autorità libica abbastanza solida da bloccare le proprie coste al flusso dei migranti, arriva puntuale il libro di Gabriele Proglio Libia 1911-1912. Immaginari coloniali e italianità (Le Monnier, pagine VI-442, e 29) a ricordarci quanto solo poco più di tre generazioni fa proprio Cirenaica, Tripolitania e le oasi del Fezzan venissero anelate come il cemento destinato a solidificare il processo di costruzione della nazione italiana iniziato nel 1861.
Il dibattito sull’opportunità di allargare i confini del nostro Paese alla «quarta sponda» inizia presto. Nel 1881 se ne discute già in Parlamento. Occorre tener testa all’espansionismo coloniale francese e inglese. A Roma di Libia si sa pochissimo: ci sono le relazioni romanzate di pochi esploratori, la retorica del Mare Nostrum, le memorie scolastiche di esaltazione dell’Impero romano, ma molto poco di concreto.
Dal 1901 con l’avvento dell’era giolittiana però la propaganda per la guerra alla Turchia e l’annessione della Libia diventa questione vitale, culturale, persino identitaria. Giovanni Pascoli magnifica «la grande proletaria» (cioè l’Italia in cerca di possedimenti coloniali) e la necessità di trovare territori fertili affinché la ricchezza costituita dai nostri emigranti non vada perduta Oltreoceano. I nazionalisti di Enrico Corradini presentano l’impresa di Tripoli come una «missione sacra», irrinunciabile.
La grande stampa si schiera per l’invasione. Il «Corriere dei Piccoli» e l’intero sistema scolastico plaudono all’impresa. A combattimenti iniziati, nell’autunno 1911, anche la Chiesa cattolica interviene massicciamente ad esaltare i «soldati martiri» caduti in difesa della patria e della cristianità.
È la grande prova che prepara la propaganda per la Prima guerra mondiale. Ma in Libia c’è di più. Il conflitto con l’Impero ottomano diventa una «guerra santa» contro i «barbari islamici». Ci si illude che le masse arabe locali ci accolgano come liberatori. Ma ci sbagliamo. Ci vorranno oltre due decenni di sangue e molte atrocità prima di poter sedare le rivolte anti italiane.