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 2017  gennaio 07 Sabato calendario

Il direttore di Adelphi: «Vi racconto il sistema di Georges Simenon»

Trentun anni fa Georges Simenon firmava il primo contratto con Adelphi, dopo una lunga ma frustrante fedeltà a Mondadori. L’anno 1985, quando la casa editrice di Roberto Calasso e Luciano Foà pubblicò Lettera a mia madre, libro intimo e doloroso cui l’autore teneva molto ma che a Segrate avevano sempre ignorato, segna la riscoperta italiana del prolifico autore belga; anzi: la sua ridefinizione come scrittore notevole del Novecento. In Italia, infatti, la sua presenza si era ridotta ai soli gialli di Maigret («in edizione da chiosco di stazione», gli aveva ricordato, con astuzia, Calasso in un primo incontro a Losanna). E nessuno dei suoi romanzi-romanzi, i cosiddetti non-Maigret, era più in libreria. Oggi il fenomeno Simenon si presenta con la forza dei numeri: Adelphi ha 157 titoli in catalogo, per un totale di 6 milioni 800 mila copie vendute. Maigret copre oltre 90 titoli (3 milioni 800 mila copie).
Ma i 54 romanzi-romanzi, o romans durs, hanno venduto la bellezza di 3 milioni di copie, con una media a titolo di 55 mila (più dei Maigret). Per completare il quadro, aggiungiamo solo che i campioni sono L’uomo che guardava passare i treni (200 mila), La camera azzurra (170 mila), Tre camere a Manhattan (140 mila). Nel 2016 è uscito uno dei titoli più sorprendenti, Il passeggero del Polarlys, l’indagine su una persona scomparsa in alto mare ambientata su una nave che risale la Norvegia verso Capo Nord. La prossima uscita sarà, a febbraio, La casa dei Krull, una cupa storia del 1939, in una città imprecisata che ricorda Liegi. Fenomeno Simenon? Di più: parliamo di un Sistema Simenon. Una macchina da long seller dal ritmo regolare che riflette a modo suo le linee guida del progetto Adelphi, edificato sulla solidità nel tempo del catalogo e su diversi autori importanti proposti in toto.
Del resto, lo s’era capito sin dal 1986, quando l’editrice milanese in pieno boom da Mitteleuropa (Joseph Roth, Schnitzler, Kraus, Canetti…) pubblicò, come secondo titolo simenoniano, il meraviglioso romanzo del 1933 Le finestre di fronte che, incredibilmente, Mondadori aveva snobbato per mezzo secolo. Un testo che intuisce in anticipo i temi dell’oppressione staliniana cari ad Arthur Koestler e sfoggia passaggi da incubo kafkiano. In un celebre intervento sul Corriere della Sera, Goffredo Parise ne prese spunto per riposizionare Simenon nel pantheon letterario del moderno. Del resto, il romanziere di Liegi era già stato incensato da colleghi innovatori come André Gide, Jean Cocteau, Henry Miller. «Ma per far arrivare a regime la macchina Simenon ci vollero dieci anni», spiega Giorgio Pinotti, editor in chief di Adelphi, che da sempre, con Ena Marchi, segue quest’autore. Oggi, per esempio, Lettera al mio giudice (1946) è ritenuto uno dei grandi romanzi novecenteschi in lingua francese.
Ma il lettore italiano, allora, andava educato. Come? «Intanto, dividendo i due filoni principali dell’opera. Dal 1993 al 2012, quattro romanzi l’anno di Maigret, e a intervalli regolari un romanzo non-Maigret. Le traduzioni tutte nuove, di più autori, per via della mole di titoli, ma con menzione d’onore per la decana, Laura Frausin Guarino. Solo dopo il 2000 i Maigret hanno sorpassato i romans durs». Intanto anche la collana gialla e nera che raccoglie I Maigret in volumi cumulativi è giunta al tomo numero 15. «A partire dagli anni Quaranta», riprende Pinotti, «i Maigret salgono di livello, nella direzione dei romans durs. Un esempio: Il cliente del sabato. Mentre i romanzi-romanzi mantengono, pur tra alti e bassi, una qualità costante nei decenni, nel variare delle combinazioni tra il destino ineluttabile del personaggio, il fascino atmosferico e il tema dell’amour fou. Simenon è una macchina narrativa sperimentata, è difficile che deluda».
L’autore, del resto, aveva dei ritmi di scrittura che sconfinavano nella nevrosi. Nella redazione Adelphi abbiamo potuto consultare la bibliografia curata da Claude Menguy, da cui risulta: Simenon ha firmato in proprio ben 252 opere di narrativa; altre 201 sotto 17 diversi pseudonimi, spesso risalenti ai suoi anni da giornalista, il più noto è Georges Sim; più i racconti, gli scritti autobiografici, i reportage. Un corpus di opere che ha del mostruoso. Non era leggenda, ma verità, che il “petit Sim”, come lo chiamava Colette, scrivesse un Maigret in una settimana. Simenon era un duro nel negoziare i contratti. Un businessman tra i più tosti. Un vorace consumatore sessuale. Eppure, da artista, era un uomo sofferente. Ricorda Pinotti: «Nella fase preparatoria, sono parole sue, entrava in “état de roman”, in stato di romanzo: nausee, vertigini, malesseri acuti, cui seguiva la fase liberatoria della scrittura. Quasi una possessione psicosomatica. Lo stesso Maigret affronta le inchieste in termini più emotivi che razionali, lasciandosi possedere da vicende e atmosfere, come in trance…».
Visto oggi, il caso Simenon rappresenta un elemento di rilievo della strategia Adelphi, che ha nel long-seller il punto di forza. Basti citare, tra gli autori del ventesimo secolo, il caso di Vladimir Nabokov (Lolita, nella splendida traduzione di Giulia Arborio Mella, è del 1993 e vende in media 10 mila copie l’anno). O quelli di Karen Blixen, Joseph Roth, Hermann Hesse, il cui Siddhartha, scritto nel 1922, ha prodotto 2 milioni 560 mila copie in 85 ristampe. L’acquisizione di autori in toto, come investimento di lungo periodo, riguarda anche italiani, vedi Guido Morselli, Alberto Savinio (dal lontano 1975), Leonardo Sciascia. La più recente scommessa nel noir francese, invece, punta sul duo Boileau-Narcejac: I diabolici, il primo titolo uscito nell’autunno 2014, ha avuto buon successo; nel 2015 è uscito Le incantatrici, nel 2016 La donna che visse due volte, da cui Hitchcock trasse un celebre film. Ma per il 2017 un titolo non c’è ancora: è presto per dire se è nato un nuovo ciclo. Ma un nuovo Simenon non sembra ripetibile.