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 2017  gennaio 22 Domenica calendario

I piaceri del sadomaso bio. Intervista a Emily Witt

All’inizio di Future Sex, indagine coraggiosa e spesso spiazzante sul sesso nell’era di internet uscita negli Stati Uniti da Farrar, Straus and Giroux, l’autrice Emily Witt è una giovane donna di trent’anni senza una relazione fissa e scontenta dei suoi rapporti occasionali. Laureata in Semiotica alla Brown University, con una seconda laurea in Letteratura inglese a Cambridge e un master in Giornalismo investigativo alla Columbia, Witt decide di lanciarsi in un’inchiesta sul supermarket sessuale della rete, richiamando involontariamente alla memoria la battuta della sceneggiatrice Nora Ephron secondo cui un giornalista è il tipo di persona che «fa tappezzeria all’orgia».
Da questa inchiesta nasce cinque anni più tardi Future Sex, che minimum fax pubblicherà prima dell’estate in Italia: un libro che cerca di illuminare da un punto di vista femminile alcuni aspetti chiave del supermercato sessuale odierno, scritto da una giornalista intelligente, graziosa e forse un po’ timida, che non si tira indietro se c’è da frequentare orge vere, set di video porno o sedute di «meditazione orgasmica». Ma che non rinuncia nemmeno a usare queste esperienze per una riflessione intellettuale, facendo propria la lezione della scrittrice Joan Didion.
«Con i suoi algoritmi – scrive in un passaggio di Future Sex che illumina il cambiamento culturale in corso – internet assicura a ogni persona che esistono altre persone come lei: che nessuno è più costretto a rimanere solo con i propri aberranti desideri e che nessun desiderio è aberrante».
Cominciamo dal principio: la rivoluzione di internet ha investito anche la sfera del sesso. Dal suo osservatorio, con quali risultati?
«Negli Stati Uniti ci sono stati tre cambiamenti fondamentali negli ultimi anni. La gente si sposa molto più tardi o non si sposa affatto, e di conseguenza ha un maggior numero di relazioni sessuali o relazioni di più breve durata; il cambiamento tecnologico ha portato nuovi modi di incontrarsi, di trovare comunità e di dare sfogo alle proprie fantasie; la società è diventata più aperta nei confronti della diversità e degli orientamenti sessuali. La combinazione di questi tre fattori ha contribuito a creare un paesaggio nuovo, in cui la vecchia storia secondo la quale dopo i trent’anni il percorso naturale di una persona è trovare un rapporto monogamico e duraturo non regge più».
Parla per esperienza diretta?
«Sì, ed è quello che mi ha motivato a scrivere Future Sex. Mi sono accorta che con l’andare del tempo invece di trovare qualcuno con cui stabilire un rapporto duraturo, avevo relazioni sempre più brevi e passavo lunghi periodi in cui non ero innamorata di nessuno. E questa fase, che in teoria doveva avere un termine, non finiva mai. Era come essere fuori sincrono con la storia di maturità e monogamia che raccontavo a me stessa».
In questo contesto, come vede i siti di incontri online tipo OkCupid? Come dei facilitatori oppure no?
«Dipende. Una volta entravi in una stanza e capivi abbastanza rapidamente chi poteva interessarti. Poi ci parlavi e ti rendevi conto se avevi voglia o no di approfondire. Con l’ internet dating invece vai su un sito, scegli qualcuno, ti dai appuntamento con una persona di cui sai pochissimo, giusto quali libri dice di aver letto, quali sport dice di preferire, cose del genere, ma di fatto le probabilità che questa persona possa davvero piacerti sono molto limitate. In compenso, è come sfogliare un catalogo ed esporsi a essere rifiutati o a dover rifiutare. Né l’una né l’altra cosa sono piacevoli».
Lei però scrive di essersi fatta degli amici grazie ai siti di incontri online.
«Sì, ed è la parte migliore di questa tecnologia. Mio padre mi raccontava che quando da giovane si è trasferito a New York si è sentito solissimo. Se non c’eri quando suonava il telefono eri perduto. Oggi, invece, grazie a un’app puoi andare in qualunque città e incontrare persone che hanno voglia di conoscere altre persone. Quando sono andata a fare ricerche per il mio libro a San Francisco, ogni sera, se lo desideravo, potevo uscire a bere un drink con qualcuno e fare conversazione. È un’iniziazione alla vita sociale veramente veloce».
Lei è andata in California per osservare come le persone usano internet per organizzare e dare un senso ai propri desideri e ha anche partecipato a workshop di benessere sessuale. Che impressione ne ha ricavato?
«Nel caso del workshop di “meditazione orgasmica” di cui ho scritto, devo dire che l’ho affrontato con un certo fastidio ma poi l’ho apprezzato. La meditazione orgasmica è una pratica che si può fare tra due amici o due amanti, in cui la donna si spoglia dalla vita in giù e l’uomo le accarezza il clitoride per quindici minuti, senza che si arrivi a un rapporto sessuale. Scaduti i quindici minuti si discutono le proprie sensazioni, la donna si riveste e entrambi vanno per la propria strada. L’idea è che sia un’esperienza che non è né sesso né masturbazione ma che, svolgendosi all’interno di tempi e ruoli stabiliti, permette alla donna di riflettere sulla propria sessualità senza legarla a una storia d’amore o all’incontro con un uomo. Mi ha fatto capire quanto fossi poco libera, quanto mi preoccupassi della mia bellezza e avessi paura di non vedere il mio desiderio contraccambiato. In questo senso è stato utile».
Restando in California, il capitolo sui video porno che si girano a San Francisco è il più importante e anche disturbante della sua inchiesta. Come è cambiata secondo lei la pornografia nell’era di internet?
«Ce n’è infinitamente di più ed è molto più accessibile di una volta. Oggi non hai più bisogno di andare all’edicola portando una borsa per nascondere la rivista che hai comprato. E nemmeno è necessario circoscrivere le librerie porno a una certa zona della città, perché non offendano. Fondamentalmente, la pornografia è diventata un fenomeno di portata non limitabile, in una democrazia».
Lei si è spinta fino a frequentare le riprese di un video Bdsm ( «Bondage Domination Submission Masochism» ), in cui una giovane interprete femminile subisce di tutto – scosse elettriche e frustate – mentre uno o più interpreti penetrano il suo corpo in ogni possibile modo, tra le incitazioni e gli insulti del pubblico. Perché ha scelto un soggetto così odiosamente estremo?
«Perché quando liberi davvero la pornografia, ti imbatti subito in qualcosa di veramente offensivo. Non è il mio genere, devo dire, ma quello che mi interessava del film in questione era che fosse una fantasia misogina realizzata da donne, cioè da una regista e produttrice che è una dominatrix e da un’interprete femminile alla ricerca di esperienze sessualmente molto forti. Quello che ho imparato, osservandole lavorare e intervistandole, è che per loro quelle violenze e umiliazioni inflitte o subite erano un modo per confrontarsi con le proprie peggiori paure ma in un ambiente protetto e monitorato, in cui si stava attenti che tutto andasse bene, che gli interpreti fossero consenzienti, che, al di fuori del sesso estremo davanti alla macchina da presa, ci fosse rispetto».
Un sadomasochismo bio, insomma.
«In un certo senso ( sorride ). Ma la ragazza che avevo visto subire di tutto aveva una vera intesa con la regista. Quando alla fine le ho chiesto se poteva dire di aver anche vissuto momenti di autentico piacere, mi ha guardato come se fossi matta e mi ha risposto: “Certo. Dal principio alla fine!”. E io sono rimasta sorpresa perché il mio bagaglio culturale non mi consentiva di crederlo possibile. Eppure oggi non è raro che queste fantasie misogine portate all’eccesso siano interpretate da registe che si considerano femministe, come la dominatrix Princess Donna Dolore che ho incontrato in California. Spesso sono anche plurilaureate, e in ottime università».
Dunque alto livello di istruzione, femminismo e pornografia oggi possono andare a braccetto in rete?
«In un certo senso è così. Negli anni Settanta il femminismo anti-porno si era cacciato in un cul de sac perché bocciava la pornografia senza proporre nulla di alternativo. Questa è la cultura che ha formato una persona come me e che mi ha fatto sempre sentire a disagio di fronte a certi film e in ansia se un ragazzo con cui uscivo li guardava. Ma in un mondo in cui le opportunità sono pari, le fantasie delle donne, quali che esse siano, non hanno effetto su questa condizione di parità. In un mondo veramente paritario, non si dice a una donna quali fantasie sessuali è conveniente o sconveniente che abbia. Alla fine le fantasie sessuali sono commisurate al grado di tabù che rappresentano. E questa pornografia super misogina nasce proprio dal fatto che la misoginia non è ok».
Che cosa dice invece dei siti di «webcam live», in cui chiunque può esibirsi in rete dal vivo? Lei che è entrata in questo mondo e ne ha incontrato i personaggi, che idea se n’è fatta?
«In verità pensavo che si trattasse di qualcosa di simile ai peep show. Che davanti all’obbiettivo del computer le donne mimassero posizioni pornografiche per il piacere degli uomini. Ma poi ho scoperto che si vedevano cose molto più strane. Per esempio? Ho visto una donna in Islanda esibirsi nuda su un cavallo a dondolo con un vibratore e una maschera da cavallo sulla faccia, una cosa che non aveva nessun riferimento con la pornografia corrente, tipo travestimento da infermiera. Era più simile alla performance art. Le donne che ho intervistato mi hanno detto che per loro la webcam era il mezzo per esplorare la propria sessualità in modo anonimo. Una ha descritto quest’esperienza come “intimità di massa”. Un’altra ha parlato di se stessa come internet sexual, nel senso che preferiva una sessualità mediata, al sesso vissuto nella vita vera. Questo significa che ci sono persone sessualmente spaventate, che oggi possono interagire e avere una vita sessuale in rete, senza esporsi al contatto fisico con altri esseri umani».
C’è una storia che l’ha colpita?
«Sì, quella di una quarantenne che dopo avere vissuto in una grande città si era trasferita in una cittadina di provincia per accudire il padre malato, in un posto dove non c’era nessuno per lei. E incontrare a distanza giovani uomini su un sito di webcam live era diventato il suo modo per avere delle relazioni e vivere la propria sessualità».
Lei parla di un padre malato. Una cosa che colpisce in «Future Sex» è che lei mette a fuoco un mondo in cui una malattia grave può significare la catastrofe finanziaria per una famiglia intera e in cui giovani schiacciati dai debiti contratti per pagare l’università utilizzano i siti di «webcam live» per raggranellare qualche soldo…
«È così. Alcuni di questi siti sono a pagamento. E per certi giovani esibirsi rappresenta un piccolo introito e un lavoro più liberatorio di un impiego fisso, e soprattutto meno legato a orari e a minimi di retribuzione».
Davvero per aggirare la percentuale sugli incassi che si prende il gestore del sito, alcuni utenti ricorrono alla «wish list» di Amazon e si fanno pagare in libri o tostapane?
«Sì, su Chaturbate è una cosa abbastanza comune ( sorride )».
Tirando le somme, il fatto che oggi la rete offra una gamma illimitata di incontri, fantasie sessuali, pornografia, sesso «live» e sesso mediato, non crea secondo lei un eccesso di offerta? A conti fatti, il sesso era più semplice prima?
«Sicuramente era più semplice prima. Una caratteristica dei nostri tempi è la fatigue of choosing, lo sfinimento da eccesso di scelta. Il dubbio è che esista sempre un’opzione migliore che potresti selezionare se trovi le parole giuste. È uno dei problemi della rete. E tuttavia continuo a pensare che quando sei veramente innamorato di qualcuno, le opzioni, alla fine, rimangono molto limitate».